domenica 30 settembre 2007

dear dwight

mi accingo a un'impresa difficile.
il lettore non tarderà a comprendere che il post è la spiegazione del post, nel nobile solco della teoria riduzionistica.
il film "rita, rita, rita" (il titolo originale, educating rita, deve essere sembrato poco incisivo ai nostri beneamati distributori) racconta la storia di una parrucchiera ignorante che alle soglie dei trenta vuole elevarsi culturalmente e si iscrive all'università.
tra varie traversie, rita cercherà il suo equilibrio, ma si sentirà un po' nel mezzo. non più parrucchiera, non mai intellettuale.

la sorte di molti somiglia a quella di rita.
la massificazione della cultura porta verso il basso, secondo i noti principii, e sta bene.
l'accesso universale all'istruzione superiore, internet, la velocità di diffusione delle informazioni attraverso i media sono tutte cose buone.
ma io ho una paura.
confesso che, per esempio, faccio un po' fatica a rapportarmi con la signora diciassettenne separata con un figlio che vive qui sotto e che sta tutto il giorno a sbraitare in dialetto siciliano con la vicina. faccio fatica allo stesso modo a prendere in mano per esempio un testo universitario di filosofia del linguaggio.
ma sì, ho letto lepsky, chomsky, saussure, benveniste, barthes, eco e compagnia cantando ma non li ho letti come avrebbero dovuto essere letti.
nemmeno mommsen ha avuto l'attenzione che si meritava. perchè se ne meritava tanta.

credo di trovarmi nella medesima situazione, ritiana, di altri.
ciò che temo è non avere più punti di riferimento alti. è la perdita della cultura.
la preparazione dei professori, a tutti i livelli, è andata gravemente e progressivamente riducendosi.
quando penso all'amico che ho perso, penso anche a quello che hanno perso tutti.
una persona colta, nel senso più ampio possibile, è un bene per l'umanità.
è sacrosanto che ogni parrucchiera abbia il diritto di prendersi una laurea e imparare il greco e studiare shakespeare. non vedo perchè questo debba portare come conseguenza necessaria l'abbattimento della cultura media.

i musei sono sempre pieni. le mostre di pittura vedono code esagerate dappertutto. il festival della letteratura di mantova, il salone del libro di torino fanno il tutto esaurito. si stampano sempre più libri.
e però?
però i laureati in lettere sbagliano a scrivere in italiano e omero in greco non lo sa leggere nessuno.
tutti, assolutamente tutti sanno recitare "Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi" ma poi si fermano lì. nemmeno il secondo verso.
prima si fanno indigestioni di quadri e poi si cagano commenti sui pittori.
insomma, non è più né masscult, né midcult.
è noncult.

voglio stringere la mano alla figlia del soffiatore

io non ce l'ho con luca sofri, no no.
ha un faccia un po' strana, sembra disegnato, sembra un cattivo dei fumetti. un po' alla edward g. robinson.
ma è un ragazzo in gamba e dice quasi sempre cose intelligenti.
io poi, quanto a faccia, dovrei starmene zitto.
mi è antipatica, la mia faccia. mi è antipatico anche il mio corpo. il mio cazzo mi piace. ma è un po' poco.
soprattutto non mi piace il modo in cui mi muovo. ogni volta che mi capita di guardarmi mi trovo sgraziato, brutto, storto. e poi sono sempre gobbo.
in più, sono convinto che dalla mia persona promani un'aura di decadenza.
insomma, mi sento un po' come un essere in decomposizione.

forse dovrei andare a frequentare uno di quei corsi del comune di milano, ma poi sono convinto che mi troverei in mezzo a un sacco di vedovi, divorziate e single che dopo poche settimane cominciano a organizzare la pizzata del dopo corso e allora lascio perdere.

però il sofri non mi può dire che la più bella canzone di tutti i tempi è the blower's daughter di damien rice.
ognuno, per carità, può dire ciò che vuole. anche che la più bella canzone è sharazan sharazan di carrisi-power.
però, se tu sei la guida riconosciuta alla cultura musicale, ci vuole un poco di temperanza nel giudizio.
con tutto il rispetto per il signor rice e la sua toccante svenevolezza, di canzoni belle così ce ne sono tante.

io la più bella canzone di tutti i tempi non lo so qual è.
so qual è la sola canzone che ha cambiato il mondo.
(anche a proposito di quelli che hanno cambiato il mondo c'è una certa vastità di opinioni. l'ultima che ho sentito è gli U2 hanno cambiato il mondo. ancora un po' e arriviamo a dire che il mondo l'hanno cambiato gli erasure)

la canzone in questione è I want to hold your hand.

qui lo dico e non ho alcun timore di smentita.
i beatles erano a fare colazione al george V a parigi nel gennaio del 1964 quando brian epstein seppe che la canzone aveva raggiunto il numero uno nelle classifiche USA e lo disse ai quattro.
da quel momento e, incredibile, solo grazie al passaggio dal mi minore al si nella strofa, il mondo cambiò. poco, ma cambiò.

rumori

una quindicina d'anni fa, più o meno, io e mio fratello ci trasferimmo per qualche giorno in una microbaita in val d'aosta. la baita era stata locata a nostro zio, ma lui ci andava poco.
ci portammo il nostro fedele registratore a quattro piste, tre chitarre, un basso, una batteria completa, cibo, varie suppellettili. tutto nella panda.
mi ricordo di dormite colossali, di una passeggiata, di un prato fiorito, di alcuni inviti ricusati a trascorrere la serata in quel di aosta, di inviti accettati.
mi ricordo di un ragazzo del luogo che si chiamava Wilmo - un nome così ce l'hanno solo lì - un bravissimo ragazzo, molto simpatico nonostante i capelli biondi.
e mi ricordo che lì confezionammo il nostro ultimo LP.
mio fratello, come sempre, fu il produttore, il cuoco, il trovarobe.
esistono, o dovrebbero esistere, alcune fotografie testimonianza di quei formidabili giorni.
esistono le registrazioni.
durante una sessione ricordo che stavamo per attaccare un pezzo quando non so come cadde da una mensola un ferro da stiro. un ferro di quelli di una volta, solo ferro, senza alimentazione, pesantissimo. ora, se pensiamo che nel momento in cui il grave toccò il suolo io ero con le cuffie alle orecchie pronto a sussurrare nel microfono e che il suddetto grave terminò la sua caduta a pochi centimetri dal microfono stesso, possiamo immaginare il lieve turbamento che prese la mia persona.
l'incidente è immortalato su qualche nastro, insieme con il mio freddo commento: "io odio il rumore".
il pezzo fu poi terminato ottimamente e in buona scioltezza.

alcuni anni prima dell'incidente col ferro, io e mio fratello ci trovavamo in camera nostra a registrare una puntata della nostra trasmissione radiofonica (nel senso che usavamo una radio-registratore). eravamo lì con l'ospite in studio (gli ospiti erano tutti interpretati da mio fratello) oppure intenti ad abbaiare una qualche canzonaccia quando entrò con il solito fare perentorio nostro padre. spalancò la porta e disse:
"che cos'è stato?"
"che cosa?" dicemmo noi
"ho sentito un gran frastuono" disse nostro padre
"noi non abbiamo sentito niente" (in effetti un rumore c'era stato, una sedia che si era spostata, ma noi non potevamo ragionevolmente far rientrare quel rumore nella categoria "gran frastuono")
"ma come?" insisté il nostro - "io ho sentito un gran frastuono"
"...."
"ho sentito un gran frastuono!" ribadì, ma ormai era un uomo solo.
stette lì qualche momento sulla porta e poi se ne andò.

l'altro giorno è stato festeggiato il compleanno di mio figlio. c'erano un bel po' di compagni di classe, qualche parente, le solite cose. c'era anche l'animazione (chissà perché si chiama così).
mio figlio è uno che odia il rumore.
non solo odia il rumore. lui pensa che tutto il male provenga dal rumore. quando è spaventato, per esempio, si tappa le orecchie con le dita, sperando, in questo modo, che il problema si risolva. ebbene, mentre quasi tutti i suoi compagni di classe si scalmanavano con l'animazione (balli, canti, salti, girotondi, trenini) lui, pietro e giuseppe (il primo è il suo fido scudiero, il secondo è suo cugino) se ne stavano nella stanzetta attigua, tranquilli. quando il rumore di là era troppo forte, lui si tappava le orecchie. il momento peggiore per lui è stato quando l'animatrice ha dato il via allo scoppio dei palloncini. tutti i bimbi si sono scatenati. mio figlio, che era il festeggiato, se ne stava con le orecchie tappate mentre si stava colmando la misura. siamo intervenuti.

due giorni prima ho festeggiato con i miei amici il mio quarantesimo compleanno. è stata una bella festa. eravamo in 34. ho alcuni rimpianti. il primo è non aver potuto stare più tempo con i miei invitati. il secondo è aver suonato in modo un po' cialtronesco. quando è arrivata la torta e si è trattato di spegnere le candeline ero emozionato.

due giorni dopo attraverso il mirino della telecamera vedevo mio figlio dove mi ero trovato io, cioè davanti alla candelina.
l'ho visto spegnerla e poi sollevare la testa. e poi sorridere, e distogliere lo sguardo.

martedì 18 settembre 2007

käthchen di heilbronn

mi sento subissato.
mi sento impotente.
la sensazione che provo, nel momento in cui realizzo che su un argomento di attualità, poniamo beppe grillo, stanno scrivendo migliaia di persone, ognuno sul suo blog, è di disorientamento.
che cosa posso scrivere io, penso, di meglio, di più originale, di qualche interesse per chicchessia, su un argomento di cui nello stesso momento trattano persone che ne sanno molto più di me, che scrivono meglio di me, che fanno ridere o riflettere molto più e molto meglio di me? niente, è la risposta.

le soluzioni sono tre:
o fare il blog alternativo, quello con l’alter ego che pasticcia con la sintassi, parla delle sue calze bucate, del rincaro del tonno, del collega di lavoro, dell’alito cattivo e del mare
o fare il vero blog, cioè il diario. ma c’è il problema della pubblicità, cioè del fatto che ti può (in teoria) leggere chiunque. per cui uno non scrive mai tutta la verità
o fare il blog-contenitore. il cesto della memoria. appunti, speranze, rimembranze, guaiti.

scelgo la busta tre. e mi do alla critica letteraria. si fa per dire.

parentesi
amo molto la timidezza. uno dei più bei film sulla timidezza è tirate sul pianista, di françois truffaut.
heinrich von kleist, drammaturgo stellare, non riusciva a parlare in pubblico e soffriva di una specie di dislessia. si impappinava, biascicava, sputazzava.
oggi vedo continuamente gente sicura di sé davanti alle telecamere, ai riflettori, al pubblico. io mi vergogno come un ladro se attorno a me c’è più di una persona a sentirmi. invece oggi, a parte quelli che uccidono il vicino di casa e poi vanno a mangiare la pizza e concedono interviste con una naturalezza da attori consumati, ecco, a parte questi, che non sono pochi, mi sembra di vedere sempre di più un mondo senza timidi.
mah.

insomma, heinrich von kleist ha scritto alcune delle opere più alte della letteratura di sempre. la marchesa di O.., pentesilea, il principe di homburg, michael kohlhaas, la brocca rotta, käthchen di heilbronn.
la caterinetta di heilbronn. un’opera magnifica.
kleist ha disegnato donne di una bellezza, di un coraggio e di una altezza incredibili. pentesilea, la marchesa di o..., la caterinetta.
käthchen è il personaggio femminile più delicato e commovente che abbia mai incontrato. non conosce l’inganno, l’artifizio, la furbizia. la sua arrendevolezza rompe ogni trama, ogni barriera.

la storia è questa: la ragazza entra nella bottega del padre, vede un cavaliere e immediatamente cade in deliquio. da quel momento la sua vita è legata per sempre a lui.

atto primo, scena prima.
siamo davanti a un tribunale, un tribunale segreto che si chiama Tribunale della Sacra Vehme.
siamo in una caverna.
un fabbro accusa un conte di avergli sedotto la figlia
il conte si difende e respinge le accuse
viene sentita caterina
ecco come entra in scena:

Käthchen (gira lo sguardo sulle assise e, appena visto il conte, piega un ginocchio avanti a lui): Signore mio!

il conte viene assolto.
perché caterina, dal primo momento in cui l’ha visto, segue il conte ovunque egli vada, perché gli si getta ai piedi, dichiarandosi la sua umile serva, devota fino alla morte?
è una storia di sogni, di visioni, di apparizioni.
è una storia di angeli, di figli illegittimi, di assedii, spade, fruste, fiamme, fumi, pozioni velenose, astucci, medagliette e fazzoletti.
e naturalmente è una storia d’amore.

sabato 15 settembre 2007

K-19

ci sono film che sono fatti per piacere ai critici. per esempio i film italiani, i film cosiddetti "indipendenti" (una parola completamente senza senso), i film dei registi ottuagenari.
questi film presentano infatti i requisiti cari allo scrittore: acrobazie sintattiche, significati inespressi, misteri narrativi, sovrumani silenzi.
ci sono film che invece hanno la disavventura di avere tutte le caratteristiche per soddisfare le brame censorie degli esperti del settore. megaproduzioni, buoni che vincono, trame rigorose.
un film del secondo tipo è K-19, di kathryn bigelow. un capolavoro.
l'ho appena rivisto per la quarta volta e per la quarta volta mi sono commosso.
la delicatezza dei miei sensi non è di per sé criterio universale, certo.
tuttavia, a parte una frase di troppo ("adesso è un eroe"), a me è sempre parso un film finito, vero, perfino scabro. la regola militare, il coraggio, l'amicizia virile, il sacrificio sono trattati con misura e senza retorica. retorico è, a mio avviso, chi scrive il contrario.
nel momento estremo non ci sono libri, né sciarpe, né spille.
c'è una scelta da fare. e quella giusta è una.
certo, è solo un film.

la realtà è questa.

silenzio.

giovedì 13 settembre 2007

shrek terzo e altro

ieri sera - evento straordinario - sono andato al cinema.
ho visto shrek terzo.
mi sono divertito da morire.

oggi invece ho visto in tivù i seguenti film
- dalla una alle tre di notte: ore 10 calma piatta, di philip noyce.
- dalle 3 di notte alle 5 di mattina: rivelazioni, di barry levinson
- dalle 9 alle 10.30 del mattino: ore 9 lezione di chimica, di mario mattoli.

il primo - lo rivedevo per la seconda volta - è un buon filmauro. dignitosamente prevedibile.
il secondo - lo rivedevo per la terza volta - è un film con un po' di bachi e di posticci, ma ottimo per la fascia oraria.
il terzo, per me nuovo, è bellissimo. e poi c'è alida valli.

martedì 11 settembre 2007

la giornata della memoria

anche io sento di dover dare il mio piccolo contributo

il questionario di proust

non solo da marzullo ancora non ci sono andato, ma neppure io donna mi ha ancora sottoposto il questionario. alla seconda di queste deplorevoli manchevolezze posso porre rimedio. me lo faccio da solo. e per di più, nella versione originale.
ogni blog dovrebbe averlo.


Il tratto principale del mio carattere
La fretta

La qualità che desidero in un uomo
La lealtà

La qualità che preferisco in una donna
Le tette

Quel che apprezzo di più nei miei amici
La generosità, la lealtà, la forza d’animo, la volontà di costruire

Il mio principale difetto
L’impulsività

La mia occupazione preferita
Struggermi, incolparmi, fare l’amore, fare il buffone, masturbarmi

Il mio sogno di felicità
Il sorriso di mio figlio

Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia
Perdere mio figlio

Quel che vorrei essere
Un amico, un marito, un padre, un avvocato, un uomo

Il paese dove vorrei vivere
Il paese in cui gli uomini abbiano smesso di inseguire dèi falsi e bugiardi, valori criminali, speranze ridicole

Il colore che preferisco
Il blu, in tutte le sue gradazioni

Il fiore che amo
Mi piacciono tutti (quelli che conosco)

L'uccello che preferisco
Mi piacciono tutti, in quanto volatili

I miei autori preferiti in prosa
Nabokov, Borges, Dostoevskij

I miei poeti preferiti
Virgilio, Dante, Lucrezio

I miei eroi nella finzione
Il mago Wiz, Sir Brandolph, Roger Thornhill

Le mie eroine preferite nella finzione
Adele H.

I miei compositori preferiti
Beethoven, Paul McCartney, John Lennon

I miei pittori preferiti
Nessuno. Con la pittura è in atto un conflitto irrisolto

I miei eroi nella vita reale
Chiunque salvi una vita

Le mie eroine nella storia
Gloria Swanson

I miei nomi preferiti
Anna, Maria, il nome di mio figlio.

Quel che detesto più di tutto
Utilizzare le disgrazie altrui per trarne beneficio

I personaggi storici che disprezzo di più
I personaggi storici non si possono disprezzare, per definizione

L'impresa militare che ammiro di più
Non ammiro imprese militari. La più straordinaria è certamente la conquista di mezza europa in un anno ad opera dell’esercito del terzo reich

La riforma che apprezzo di più
Quella dell’università, quando la faranno

Il dono di natura che vorrei avere
La calma e una statura più alta

Come vorrei morire
Subito dopo una possente eiaculazione

Stato attuale del mio animo
Ordinariamente ansioso

Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza
Quelle che siano conseguenza dell’ingenuità

Il mio motto
Pensi di essere un’eroe? Sei solo merda.

giovedì 6 settembre 2007

i mille

i mille hanno ragione.
svecchiare, pulire, rammendare. tutte ottime proposte, anche per chi non è di casa.
è il logo che mi rattrista.
francamente, non se ne può più della i minuscola.

mercoledì 5 settembre 2007

spigolature

oggi ho letto un post divertente e opportuno.
l’autore, mi sembra di capire, deve essere uno di quelli che contano, e di lungo corso. infatti è bravo. peccato che la fama porti sempre con sé qualche sgradevole strascico, come i commenti off topic, gli insulti tra i commentatori, i trollaggio selvaggio, il lazzo gratuito.
nel post, tra le altre cose, ho gradito la citazione all’antilingua. quindi linko ankio. il sito è interessante.
tra i commenti, merita dottor d.

outing

ieri mattina ero fermo all’incrocio tunisia/lazzaretto e avevo appena finito di parlare al telefono con un geometra quando due individui hanno attraversato la strada.
uno di loro era di una bellezza ammaliante.
più o meno la mia età, magro, scarmigliato, trascurato (il trascurato vero, non finto), impercettibilmente allegro, istintivamente disinvolto.
poteva essere straniero, forse slavo.
la prima cosa che ho pensato, palpitando, è stata immaginarmelo mentre si alza la mattina e si veste.
poi mi sono ricomposto, ho acceso la vespa e sono ripartito.

saw II

certo che bisogna essere dei deficienti per fare un film come saw II.
avrei dovuto immaginarlo, ma il primo saw aveva qualcosa di interessante.
così, ieri sera l’ho visto.
quella mammoletta del nanni nazionale se la prendeva con harry pioggia di sangue, che invece non è affatto un brutto film, anzi. saw II è invece un film pessimo. nefando, mefitico e banale. pieno di luoghi comuni (il poliziotto aggressivo con la mano al pistolone / il cattivo mite e sereno; i poliziotti ottusi / il cattivo intelligente; il cattivo coi messaggi, il cattivo col Messaggio, il cattivo moralista, il buono con la macchia, il finale lugubre, lo scontro generazionale, il team col bravo negro, la mignotta, il ragazzino, il forzuto, il viscido, la povera scema), traboccante di inutilità, ammiccante, ripetitivo.
mentre vediamo e ascoltiamo il cattivo che placidamente ci sussurra quant’è importante la vita, osserviamo quello che si spara nell’occhio, quella che si tuffa in un vascone colmo di siringhe sanguinose e infette, quello che si taglia via col coltellaccio un pezzo di collo, quella che infila le mani in mezzo ai vetri e vi rimane impigliata per sempre, quello che uccide il compagno a mazzate chiodate sul cranio, quello che entra nel forno e viene arso vivo e infine quello che sega la testa all’altro.
un filmone, insomma.
e quel che è peggio, siccome sono un vecchio trombone, è che mi immagino torme di ragazzini che si trovano la sera per rivederlo e apprezzarne le scene più violente, che ne parlano a scuola con eccitazione e che indossano la maglietta che sicuramente il merchandising avrà confezionato. tutte cose che mi rompono ancora di più i coglioni.

p.s. per ferzan. non ti preoccupare, le tue fate ignoranti restano saldamente al primo posto. inarrivabili.

lunedì 3 settembre 2007

la massa di perdizione

un paio d'anni fa ho acquistato presso la libreria "ritorno al reale" in milano il libro "ritorno al reale", di gustave thibon. la libreria è diretta emanazione dell'editore, che di persona la gestisce, che si chiama fabio de fina. il catalogo e il personaggio sono caldamente da consigliare a chiunque desideri conforto al proprio impulso antisemita. per altro versante, rappresentano bene quella ampia frazione del cattolicesimo oltranzista che raccoglie fondi per i bambini palestinesi e pubblica libelli al fiele contro la lobby ebraica.

thibon tuttavia, il filosofo-contadino, è di ben altra pasta. il libro è un po' spezzettato, quasi una sorta di raccolta di piccole orazioni, o lezioni, ma contiene pensieri non piccoli
(online è possibile leggerne la lunga introduzione, a cura di marco respinti).

in particolare, ricordo l'argomento intorno alla responsabilità.
nel post precedente, un mezzo pasticcio, non mi ci sono soffermato abbastanza.
l'argomento è il seguente: grande potere implica grande responsabilità (lo dice anche lo zio dell'uomo ragno mentre, saggiamente, muore).

ebbene, mi pare che tale massima non trovi grande applicazione, nel presente.
ricoprire una importante carica pubblica deve essere un peso, non un vantaggio.
essere magistrato, ufficiale di polizia, ministro, professore non è un beneficio, ma un pregiudizio.
solo chi ha la piena consapevolezza di ciò può aspirare a ricoprire alti uffici.
la vita del dirigente deve essere peggiore di quella del dipendente.
la vita del finanziere peggiore di quella del contribuente.
la vita del ministro un'odissea.
la vita del magistrato un incubo.

non si entra in magistratura per finire sui giornali e scrivere libri. non si entra in guardia di finanza per porre fine ai problemi col modello unico e alle cartelle esattoriali. non si fa politica per avere i privilegi. dico cose banalissime, ma la realtà, spaventosa, è che invece, qui, si fa proprio così.

la strada è lì, si può tornare indietro e intraprenderla.
altrimenti non resta che il (purtroppo) bellissimo finale preconizzato per noi da albert caraco, nel suo "breviario del caos". altro libro da comprare. cupissimo, colmo di disperazione, apocalittico, esiziale. piluccando in rete ho scoperto un blog omonimo. il suo autore è uno che pensa, mi sembra, bene.

domenica 2 settembre 2007

nessun dolore

quando sei alla fine e non vorresti esserci ti aggrappi a qualsiasi cosa. medicine, riti, numi.
invocare la madonna nel momento estremo è prassi comune.
chissà perché dobbiamo ridurci così. Dio ci vuole così? in ascolto nel dolore?
si diceva del diavolo che separa.
non soltanto.
separa e confonde. separa e unisce.
unisce il vero col falso, il giusto con lo sbagliato, nasconde la verità.

viviamo nel mondo dell'Opinione.
la doxa ha sconfitto l'episteme, direbbe il filosofo.
ci sono persone che vengono pagate per dire la propria opinione.
di per sè la cosa è coerente. l'opinione (il diavolo) la valuta il denaro (farina del diavolo).
peccato che non vi sia altro.
se la battaglia contro il relativismo la fa l'Inquisitore, c'è, ancora, qualcosa che non va.

come scrive altri, c'è sempre qualche buontempone che decide di fare la voce fuori del coro, e tanti a seguire. c'è sempre qualcuno disposto a difendere l'indifendibile, a sostenere Caino.
la cosa che sembra sfuggire è che tanto Caino ha diritto al giusto processo, quanto la società a vederlo condannare all'ergastolo.

siamo noi che siamo brutta gente.
siamo noi che mettiamo il sacchetto della pattumiera sul pianerottolo, che parcheggiamo il suv in seconda fila. siamo noi i mostri. siamo noi che uccidiamo il nostro vicino di casa, che parliamo in televisione. siamo noi i cannibali.
l'aveva detto qualcuno, che il sistema democratico è un lusso che non ci meritiamo.
i nostri rappresentanti non sono i migliori tra di noi. sono i peggiori.

ma sì, ora lo dico, tanto non sono certo il primo. siamo un paese sull'orlo di una guerra civile.
viviamo privati della verità e del vero.
viviamo governati da bande di improvvisatori mascalzoni.
osserviamo la prevalenza del cretino e la sconfitta della giustizia.
il nostro Paese non è più in grado di esprimere niente, in nessuna dimensione.
viviamo senza senso civico, senza rispetto del prossimo, senza alcun senso del condividere.

perché siamo diventati dei drogati. la nostra dose quotidiana è la proprietà di beni inutili, la vacanza, il viaggio, il sogno da realizzare. e quando sei in astinenza, sei solo, e hai un solo pensiero.
il nostro sogno di libertà è la barca in mezzo al mare, mentre la libertà è appunto la libertà dal desiderio.
siamo agganciati. e non c'è più niente da fare.

prima o poi arriverà.
arriverà il pifferaio magico, quello che parlerà di ordine e certezza, e noi, miserabili topolini tossici, lo seguiremo.

Figlio mio, chissà se un giorno, leggendomi, mentre sarai magari seduto, un bicchiere in mano, felice, con le persone che ami, penserai a quel vecchio pazzo di tuo padre che non capiva niente.