sabato 15 novembre 2008

Giovanni, 1, 14

No será menos un enigma esta hoja
que la de Mis libros sagrados
ni aquellas otras que repiten
las bocas ignorantes,
creyéndolas de un hombre, no espejos
oscuros del Espíritu.
Yo que soy el Es, el Fue y el Será,
vuelvo a condescender al lenguaje,
que es tiempo sucesivo y emblema.
Quien juega con un niño juega con algo
cercano y misterioso,
yo quise jugar con Mis hijos.
Estuve entre ellos con asombro y ternura.
Por obra de una magia
nací curiosamente de un vientre.
Viví hechizado, encarcelado en un cuerpo
y en la humildad de un alma.
Conocí la memoria,
esa moneda que no es nunca la misma.
Conocí la esperanza y el temor,
esos dos rostros del incierto futuro.
Conocí la vigilia, el sueño, los sueños,
la ignorancia, la carne,
los torpes laberintos de la razón,
la amistad de los hombres,
la misteriosa devoción de los perros.
Fui amado, comprendido, alabado y pendí de una cruz.
Bebí la copa hasta las heces.
Vi por Mis ojos lo que nunca había visto:
la noche y sus estrellas.
Conocí lo pulido, lo arenoso, lo desparejo, lo áspero,
el sabor de la miel y de la manzana,
el agua en la garganta de la sed,
el peso de un metal en la palma,
la voz humana, el rumor de unos pasos sobre la hierba,
el olor de la lluvia en Galilea,
el alto grito de los pájaros.
Conocí también la amargura.
He encomendado esta escritura a un hombre cualquiera;
no será nunca lo que quiero decir,
no dejará de ser su reflejo.
Desde Mi eternidad caen estos signos.
Que otro, no el que es ahora su amanuense, escriba el poema.
Mañana seré un tigre entre los tigres
y predicaré Mi ley a su selva,
o un gran árbol en Asia.
A veces pienso con nostalgia
en el olor de esa carpintería.

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Non sarà meno un enigma questa pagina
di quelle dei Miei libri sacri
né di quelle altre che ripetono
le bocche ignoranti
credendole di un uomo, non già specchi
oscuri dello Spirito.
Io che sono l'È, il Fu e il Sarà
accondiscendo di nuovo al linguaggio
che è tempo successivo e simbolo.
Chi gioca con un bambino gioca con qualcosa
di vicino e di misterioso;
io volli giocare coi Miei figli.
Stetti fra loro con stupore e tenerezza.
Per opera di una magia
nacqui stranamente da un ventre.
Vissi stregato, incarcerato in un corpo
e nell'umiltà dell'anima.
Conobbi la memoria,
quella moneta che non è mai la stessa.
Conobbi la speranza e il timore,
quei due volti dell'incerto futuro.
Conobbi la veglia, il sonno, i sogni,
l'ignoranza, la carne,
i tardi labirinti della ragione,
l'amicizia degli uomini,
la misteriosa devozione dei cani.
Fui amato, compreso, esaltato e fui appeso a una croce.
Bevvi il calice fino alla feccia.
Vidi con i Miei occhi quello che non avevo mai visto:
la notte e le sue stelle.
Conobbi il levigato, il sabbioso, il disuguale, l'aspro,
il sapore del miele e della mela,
l'acqua nella gola della sete,
il peso di un metallo sul palmo,
la voce umana, il suono di alcuni passi sull'erba,
l'odore della pioggia in Galilea,
l'alto grido degli uccelli.
Conobbi anche l'amarezza.
Ho commissionato questo scritto a un uomo qualunque;
non sarà mai quello che voglio dire,
sarà almeno il suo riflesso.
Dalla Mia eternità cadono questi segni.
Che un altro, non colui che adesso è il suo amanuense, scriva la poesia.
Domani sarò una tigre fra le tigri
e predicherò la Mia legge nella loro selva,
o un grande albero in Asia.
A volte penso con nostalgia
all'odore di quella falegnameria.

(Jorge Luis Borges, in Elogio dell'ombra, 1969)

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