domenica 15 febbraio 2009

osservare latina

venerdì mattina alle ore 8.13 sono salito sull'eurostar alta velocità denominato "frecciarossa" in partenza da milano centrale alle ore 8.15. arrivo previsto a roma alle ore 11.45.
il treno è entrato a roma termini alle ore 11.30.
un quarto d'ora d'anticipo. un fatto incredibile.
prima di allora, in tutta la mia vita non avevo mai preso un treno che fosse arrivato in anticipo.
così ho preso la coincidenza per latina 45 minuti prima.

la terra che separa roma da latina mi ha offerto delle immagini stupende. a tratti, sono rimasto senza fiato. come non emozionarsi davanti a una serie di colline così verdi, a un pastore con un gregge, a un cavallo bianco fermo sull'argine di un fiume?

la cosa meravigliosa del treno è che si guarda dal finestrino. il mondo lo capisci solo andando in treno e guardando dal finestrino. non è necessario starci appiccicati. a volte, anzi a ben vedere per me è sempre così, sento una sorta di richiamo. sento il paesaggio che mi dice guardami. allora chiudo il libro o quello che sto leggendo e guardo fuori. un po' come respirare. guardo e respiro.

poi sono arrivato. la stazione di latina, caso più unico che raro, è lontanissima dalla città. quando la costruirono, gli architetti del duce pensavano che Littoria si sarebbe sviluppata intorno alla stazione, verso le montagne. invece, gli uomini hanno costruito le case verso il mare, e la stazione è rimasta lì, isolata e strampalata.

hanno mandato a prendermi. il mio chauffeur si è rivelato una ragazza dal profilo aguzzo, quasi caricaturale, con occhiali da sole d'ordinanza e guida champagne. durante il tragitto, nell'abitacolo avvertivo, a zaffate, puzza di cacca. forse aveva pestato, forse scoreggiava crudelmente in silenzio.
in tutti i casi, il finestrino del passeggero era bloccato.

l'ufficio del mio presidente si trova proprio di fronte al famoso "palazzo M", chiamato così perché è fatto a forma di M. la M di mussolini.
a me l'architettura littoria piace. mi piacciono da morire il tribunale di milano e la stazione centrale. e mi piacciono i palazzi con i mattoni rossi a vista e le finestre in marmo bianco. per questo latina, che è città assurda, ha le sue bellezze. la geometria, la pulizia delle sue case, del suo volto, è comunque affascinante.

la sera abbiamo mangiato a latina lido, in uno di quei ristoranti a menù fisso (ci sono sempre) in cui ti ammazzano di pesce. poi, ciucco, mi sono trascinato sull'ampio letto nella camera d'albergo a me riservata.

sabato ci siamo trasferiti a roma.
roma, che possiede i colori delle sabbie.
una giornata non brillante, né fortunata. risparmio la cronaca di una sconfitta annunciata e accettata.

poi, il ritorno a casa.
altro eurostar, ma di quelli con fermate a bologna e firenze.
mi siedo a casaccio, cerco un posto isolato.
quando il treno si ferma a firenze spero che nessuno venga a rompermi le palle esigendo che gli lasci il posto, con contestuale esibizione di idoneo titolo. di solito mi va bene.
sulla mia carrozza salgono non meno di 30 persone. ma una sola, ho scoperto, aveva il posto prenotato sulla carrozza: una vecchia calabrese che non sapeva nemmeno come si legge il biglietto del treno.
quelle vecchie che parlano solo il dialetto. e che lo parlano anche male, cioè non parlano un bel dialetto pulito. no, parlano il dialettaccio.
perché, come qualsiasi lingua, anche il dialetto si può parlare in una infinita serie di modi, con infinite sfumature.
in treno, per esempio, è curioso indovinare come parlerà il tuo vicino. se non lo capisci subito, perché è zitto, sai che lo scoprirai presto, perché presto telefonerà a qualcuno o riceverà una telefonata.
e appena dirà la prima parola (di solito "pronto?") tu avrai già ottenuto una importante informazione: conoscerai il suo livello di istruzione.

comunque, la vecchia calabrese blocca tutta la fila di passeggeri dietro di lei perché si ferma a leggere il biglietto. proprio davanti a me. non capisce. chiede informazioni ai signori di fianco a lei.
le indicano il posto assegnatole.
è il mio.
c'erano tre posti liberi attorno a me, e lei aveva proprio quello dove sedevo io.
faccio cenno di alzarmi.
- signora vuole sedersi qui?
- ma no, tanto è lo stesso.
però si siede, e mi scalza.

allora prendo la mia piccola borsa e mi sposto da un'altra parte della carrozza - che è piena di posti vuoti, piena di posti vuoti - dove spero di restare tranquillo fino a destinazione. sarà così.
la signora calabrese durante il viaggio riceverà alcune telefonate di parenti suoi, con i quali parlerà in dialetto.
dicevo, appunto. a volte il dialetto è piacevolissimo da ascoltare, a volte dà fastidio. come l'italiano. a volte trovi gente che parla un italiano squallido, antipatico.
quando sento che la signora dice "ah?" invece di "eh?" per significare che non ha capito qualcosa che la ha detto il suo interlocutore, provo un moto di stizza. poi mi dico che non è colpa sua. che le hanno insegnato così, sua mamma e le sue zie e i suoi fratelli e sorelle.
però poteva anche sedersi da un'altra parte.

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