sabato 28 marzo 2009

il maestro /2

mentre scrivo, la rai uno trasmette un concerto del Maestro dall'auditorium di roma.
con tanto di orchestra, ospiti a sorpresa, tenori, trottolino e lino banfi.

ecco, l'orchestra. ma dico, uno si cucca dieci anni di conservatorio per poi andare a suonare le canzoni del maestro? per questi musicisti confesso di provare un sentimento a metà tra la pietà e il disprezzo.

me lo sono sciroppato per un po' senza grandi slanci, poi, improvvisamente, l'ho capito, il maestro.
il Maestro possiede la caratteristica principale dell'uomo di successo.
è un uomo dalla splendida, inarrivabile, disarmante mediocrità.

e poi è un uomo senza vergogna.
se da un lato egli è davvero convinto del suo talento di autore, cantante, musicista; se è davvero convinto del compiacimento del pubblico, da un altro la sua enfietà è buona perché magnificamente inconsapevole.

il Maestro è uno che non ha paura di nessuno. non ha paura di nessun palcoscenico, di nessun pubblico, di nessun appuntamento. non ha paura di essere stonato, ridicolo, assurdo. non ha paura di se stesso. non ha paura di essere una parodia vivente. non ha paura di esibirsi davanti a grandi e piccini, giovani e vecchi, piazze e teatri. un uomo universale. un uomo totale.

alla fine, non si può non amarlo.

venerdì 27 marzo 2009

ibrahimovic ignora parmenide

oggi ho detto all'amico e collega w.b. (ognuno l'avrà detto a un suo amico) che l'inter, se improvvisamente morisse zlatan ibrahimovic, il simpatico giocatore, perderebbe lo scudetto.
w.b. era d'accordo.
allora ci siamo immaginati il giocatore steso sul più classico dei letti d'ospedale, con la consueta cannetta nel naso, ormai spacciato e destinato a sicura dipartita.

poi ho pensato che ibrahimovic è già nel letto d'ospedale, con tutto il contorno, solo che lui ancora non lo sa.
è il tempo, la fregatura.
ha ragione parmenide.
esiste già ibrahimovic steso sul letto.
e come lui, tutti noi.

mercoledì 18 marzo 2009

il papa

il papa è un coglione.

lunedì 9 marzo 2009

apologo

ero stanco. me ne andai al parco. quando mi sento male, devo vedere il verde. ci vado in macchina. parcheggio al limitare dei giardini. a volte resto seduto dentro, mi basta guardare. altre volte esco, faccio qualche passo, cerco pace. dopo un po', sto sempre meglio.

quel giorno c'era un uomo anziano seduto su una panchina. notai che mi somigliava. nella posa, nei tratti.
non faceva niente. non aveva cani, non pasturava animali, non leggeva il giornale.
mi avvicinai, senza motivo. mi sentivo misteriosamente invitato.
mi fece cenno di sedermi accanto a lui.
cercai di dire qualcosa, forse sul tempo. lui non rispose.
stette in silenzio per un paio di minuti, poi parlò. anche la voce mi ricordava la mia.

io vengo qui tutti i giorni.
lo vedi quell'uccellino, laggiù?
è per lui che sono qui. per vedere lui.

lui viene qui ogni tanto. da tanti anni.
mi conosce, mi conosce bene. qualche volta mi si avvicina, mi fa qualche confidenza, sta un po' con me, canta per me. è sempre felice.
io arrivo e lo aspetto.
è l'amore della mia vita.

l'america

Black girl, black girl, don't lie to me
Where did you stay last night?
I stayed in the pines where the sun never shines
And shivered when the cold wind blows

dicono nata nei primi del ventesimo secolo. forse tra gli schiavi. forse prima.
nel 1970 ne inventariarono 160 versioni.

pura, magnifica tristezza che promana da un bosco, da un brivido, da tre note, da un cuore spezzato, dall'ombra, dalla lentezza, dalla solitudine, dall'attesa.
e immancabilmente dai tre quarti, a me sempre oscuri, come tutti i misteri che sottendono le forme musicali.

being there

oggi, parafrasando chance giardiniere, o una storia zen, ho sostenuto che ci sono tre modi di leggere, a prescindere dal livello di istruzione.

il primo è la lettura passiva.
come guardare la televisione. si possono leggere in questo modo l'opera di dostoevskij come la guida programmi tv. non è esclusa l'emozione.

il secondo è leggere per capire quello che si legge. è prevista la concentrazione.

il terzo è quello giusto, che conoscono in pochi.

domenica 8 marzo 2009

into the wild

come sognano di morire le persone?
nel sonno, o ammazzate, o cadendo da altezze infinite.

si muore anche guardando il sole tra le nuvole, in un bosco, soli, dopo aver capito tutto.
into the wild, di sean penn.

sean penn è bravo di una bravura un po' antipatica, didascalica.
il film è bellissimo, soprattutto al di là della storia, vera, e della sua realizzazione.
il ragazzino ventenne "con la testa sulle spalle" è fin troppo maturo (dispensa consigli di vita un po' a tutti quanti, si permette di disdegnare le attenzioni di una sedicenne). non mi è piaciuto l'attore protagonista, emile hirsch. sarà questione di faccia. non mi è sembrata all'altezza la sceneggiatura. per dirne una:"se vuoi una cosa, prendila" si poteva evitare. rovina non poco la delicata costruzione.

anche qui il coraggio, il cammino, come in quel capolavoro immenso che è the straight story, di david lynch.

qui il merito è ricordare che nessuna esperienza equivale a un bosco, a un torrente, a una cascata, a una montagna. nessuna degna esistenza può essere lontana dalla natura, da thoreau a tolstoj.

il ragazzo uccide un'alce ma non riesce a conservarne la carne. è la sua più grande tragedia.

nota:
il problema dei vegetariani è che pensano di essere più evoluti dei non vegetariani in quanto non ammazzano animali. pensano, i vegetariani, di essere antropologicamente superiori. ma hanno torto. uccidere un animale per mangiarselo non è gesto barbaro. è sano, giusto, e naturale. barbara è la sua industrializzazione, così come barbara è stata l'adozione del denaro in luogo del baratto.

vorrei smettere di avere paura.
e andare.

giovedì 5 marzo 2009

massimo moratti

ogni volta che mi capita di vedere o ascoltare il presidente dell'internazionale, massimo moratti, penso sempre la stessa cosa:

un uomo a cui un giorno qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire la verità.