venerdì 5 agosto 2011

enimmi

Io non l'avevo capito che Zumbo era depresso.
Zumbo.
era il mio professore di educazione tecnica alle medie (o si diceva applicazioni tecniche? non mi ricordo). perse la moglie, restò vedovo. si mise un bottone a lutto sulla giacca, una giacca grigio chiaro, per lui una divisa.
non so perchè a me mi chiamava buratti. io non mi chiamo buratti. e il mio cognome non assomiglia per niente a buratti. buratti era uno che era stato mio compagno in seconda media, da ripetente. e venne bocciato pure quell'anno, se ben ricordo. alle medie io in classe avevo gente di 18 anni. erano parcheggiati lì fino alla maggiore età. poi li cacciavano via e potevano finalmente andare a lavorare.
vabè. Zumbo era strano. era meridionale, piccoletto, grasso e pelato. nel complesso non bello, come uomo. faceva sempre le stesse battute, a cui rideva solo lui (come me). per esempio quando faceva una domanda facile e tutti si affrettavano ad alzare la mano o a parlare, lui interrompeva e diceva, alzando un dito, e quasi balbettando per l'emozione: "un... un fesso per volta". forse oggi mi farebbe ridere, questa battuta. se fossi in classe ora, davanti a Zumbo, con la sua giacca col bottone nero, e lui dicesse "un fesso per volta" riderei come un matto.
all'epoca no. quando sei ragazzino non capisci molto. mi correggo. quando io ero ragazzino non capivo molto delle cose, delle persone, delle situazioni. non capivo niente.
l'unica cosa che capivo era che Zumbo aveva sofferto molto per la morte della moglie. si vedeva.
però per esempio non capivo perchè ci accompagnasse sempre lui alle gite. a tutte. a tutte le gite c'era lui. il problema era che vomitava sempre. vomitava sempre, e vomitava solo lui. tutte le volte sul pullman c'era il vomito del prof. Zumbo, che era stato male.
io non lo capivo che lui ci veniva, alle gite, perchè era solo, era triste, e ce la metteva tutta per continuare, e stare coi ragazzi gli faceva bene, era bello poterli accompagnare da qualche parte, magari anche sgridarli mentre facevano casino, ma stare con loro. e se anche c'era di mezzo il mal d'auto, pazienza.

erano in due, ad insegnare educazione tecnica o come si diceva (e ora mi chiedo se esiste ancora quella bellissima materia, che comprendeva, tra le altre discipline, anche il disegno, quello tecnico, quello dove c'era da usare la squadra, e c'erano le assonometrie isometriche e le proiezioni ortogonali, e i miei lavori erano pieni di errori, di ditate nere, di cancellature fatte male).

erano in due. noi avevamo Zumbo e la Moschella.
è vero. non li ho inventati. erano Zumbo e la Moschella.
la Moschella era anche lei meridionale, piccina, ma più alta di Zumbo, e non molto affascinante, però un po' meglio di Zumbo. erano una coppia ben affiatata. non mi ricordo però perchè erano in due. tutte le materie avevano un insegnante solo, tranne educazione tecnica. chissà perchè. della Moschella mi ricordo che usava sempre un avverbio, le era molto caro. diceva "squisitamente".
io non capivo bene la pronuncia della Moschella. non capivo bene quell'avverbio. capivo il senso ma non la parola. adesso però ogni tanto lo uso anche io, quando scrivo.

la prof. di italiano si chiamava Zanframundo. certi cognomi ce li hanno solo gli insegnanti e i guardalinee del pallone. di lei mi ricordo che era brava, e che una volta scoppiò a ridere a un mio gesto. rimasi scioccato. stavo leggendo un passo di una materia che si chiamava "epica" e quando lessi che lui e lei si danno un bacio feci un gesto con la mano come a dire addirittura e lei rise come una pazza e si vergognò molto perchè nessuno tranne lei aveva visto il mio gesto e nessuno quindi capiva cosa ci fosse da sghignazzare di fronte a un bacio, per di più abbastanza rovente.

la prof di storia e geografia si chiamava Bara.
Bara.

la prof di educazione artistica si chiamava Trevisani. di quella materia ricordo i miei disegni orrendi di cui mi vergognavo come un ladro, e del libro. ogni anno, al principio dell'anno scolastico, mio padre andava in libreria a comprare i libri di testo. quello di arte costava settanta carte e la prof ogni anno diceva non lo comprate tanto io non lo uso. e mio padre lo comprava lo stesso e io ci restavo male per lui. la Trevisani era come l'assassina del film profondo rosso. uguale.

la prof di matematica si chiamava Danesi ed era abbastanza simpatica. diceva sempre "classe differenziata", che per lei, che insegnava matematica e non italiano, voleva dire che c'erano alcuni bravi e altri molto meno bravi. la Danesi una volta la incrociai in corridoio e mi disse ma cosa ci fai in giro tu, torna in classe. e io scappai via, anche perché ero già al ginnasio.

il prof. di musica, almeno per un paio d'anni, prima che il destino lo portasse altrove, era il sig. Gaetano Gaudiano.
si chiamava così. era meridionale anche lui (nella nostra scuola ce n'erano tanti, di professori del sud, per esempio Averàimo, che insegnava ginnastica, e che meriterebbe un post a parte - chissà) e molto severo. era sempre incazzato. per me era completamente pazzo. pazzo da legare.
il primo giorno disse a me, che ero al primo banco, tu hai la fronte alta, devi essere intelligente.
Lo stesso primo giorno ci fece aprire il quaderno e ci dettò il testo di una canzone da lui stesso scritta. naturalmente ne aveva scritta anche la musica, che era una scala dal do al do e ritorno, da farsi col flauto, il flauto hohner, che era obbligatorio avere e studiare.
Certo che se uno ci pensa è incredibile ‘sto fatto del flauto. Almeno nei paesi socialisti seri gli insegnavano gli scacchi, ai bambini. Noi invece, tutti con quel ridicolo flauto. Ma perché proprio il flauto? Non era meglio il pianoforte, la chitarra? Per me si decisero per il flauto sulla base della considerazione che anche il bambino più povero se lo poteva permettere e anche il bambino meno dotato sarebbe riuscito a suonarlo.


La canzone di Gaudiano faceva così:

O patria nostra, terra d’incanti (do grave – do acuto; due volte sul fa: "nostra" e due sul do acuto)
i nostri canti sono per te. (discesa)
Di messi opime tu sei feconda (su)
e il sol t'inonda del suo fulgor (giù)

Tralascio ogni commento sulle "messi opime" (forse addirittura "opimi" nell'originale - non so se pecca la memoria o la pietà) e sul tema patriottico per dire, trattandosi di post ombelicale, che la canzone di Gaudiano turbò non poco la mia mente, per anni a venire.

sono partito da Zumbo e avrei dovuto fermarmi lì.

il relatore della mia tesi di laurea, il prof. Gnoli, mi disse Lei ha una grande dote, il dono della sintesi.

non credo ci abbia preso molto.

però con l'occasione lo saluto, perchè gli ho voluto bene, a lui, a Zumbo, alla Moschella, alla Bara, alla Danesi e alla Zanfra.

e saluto, anche se non c'entra niente, ma forse un po' sì, anche Luigi.
anche lui andava alla scuola media statale Gaetano Negri.

Anche la scuola, non c'è più.

4 commenti:

albano ha detto...

giralo alla filippa.

Anonimo ha detto...

gli insegnanti di educazione tecnica erano (sono?) sempre in due. Credo che, in origine, l'idea fosse che uno dei due doveva seguire il laboratorio che, però,nel 99,9% delle scuole non esisteva (esiste?. O forse l'idea era quella di assumere un po' di ggente senza particolari titoli.

W.B. ha detto...

La seconda che hai detto.

Renato ha detto...

Gio conferma che "applicazioni tecniche" si chiama "tecnica". Il soprannome che ho dato alla sua prof è Zumba, in onore del Nostro (ne è la fotocopia, al femminile). Emozione per le ditate nere sui disegni e le cancellature fatte male : la Zumba non perdona. Comunque, la Negri esiste ancora, l'hanno solo temporaneamente trasferita. Renato & Gio.