martedì 25 ottobre 2011

del lavoro

di mestiere io praticamente metto la gente in mezzo alla strada.
io che vivo in affitto difendo i proprietari di immobili.
io che penso che uno una casa dovrebbe averla dallo Stato, così come l'educazione primaria e le cure mediche, di fatto tolgo la casa a chi ce l'ha.
sono soddisfazioni. il mese scorso ho sfrattato una famiglia di rumeni. c'erano due bambine piccole. la maggiore aveva fatto un disegno e l'aveva appeso alla parete della cucina. era il disegno della loro famiglia. quando è arrivato il fabbro e ha cambiato la serratura una delle bambine era seduta sulle scale e mi ha guardato. credo che quello sguardo non lo dimenticherò.

dopo tanti anni di questo mestiere ho enucleato un dato: non ci sono, o se ci sono sono rarissime, quasi zero, le cause promosse da inquilini studenti.
gli studenti che vivono in affitto non fanno causa al proprietario. e questo anche quando ne avrebbero facoltà, e cioè molto spesso. perché molto spesso i contratti sono irregolari, simulati, farlocchi. lo studente paga tranquillo il suo affitto e quando deve andare va.

il motivo di questo fatto, che reputo inconfutabile, anche perchè sono autorevole, è che gli studenti studiano e non lavorano.

quando uno comincia a lavorare diventa una persona peggiore. non solo perché comincia a pensare ai soldi, alla famiglia, alla casa, alla carriera. ma anche perché entra in un mondo brutto. un mondo fatto di meschinità, amarezze, umiliazioni, conflitti e bugie. il lavoro degrada l'uomo.

quando vedo quegli individui che manifestano con gli striscioni chiedendo "lavoro" a gran voce, sono sempre turbato. un po' mi sembrano falsi (perché per me è tutta gente che non ha voglia di lavorare), un po' mi fanno paura (perché non hanno capito niente). inevitabilmente, mi vengono in mente i minatori morti a 900 metri sotto terra. la mort del ratt, come mia madre chiama una morte atroce. il lavoro uccide.

il mio amico guglielmo, anni fa, teorizzava un mondo in cui lavorassero solo gli uomini. non è il solo, io lo so. in effetti un mondo di soli lavoratori uomini forse sarebbe migliore, con buona pace delle ggd. io invece a volte penso che mi piacerebbe un mondo di lavoratrici donne. me ne starei a casa a fare le pulizie, caricare la lavatrice, stirare e rassettare. porterei i figli a scuola e poi andrei a riprenderli, calmo e sereno e felice di vederli uscire dal cancello che fanno casino. farei la spesa, bello tranquillo, preparerei un bel pranzetto, aspetterei con un sorriso la madre dei miei figli quando torna a casa stanca dal lavoro e la coccolerei per bene, e la notte, se tutto va bene, dormirei saporitissimamente. non mi sentirei frustrato per il fatto di fare un lavoro misconosciuto e socialmente non apprezzato o per il fatto di non portare a casa lo stipendio o per il fatto di non poter pranzare coi colleghi o essere in riunione o dire frasi come sono in riunione o minchia che rottura di coglioni il capo o cazzeggiare alle macchinette del caffé o commentare i risultati della domenica sfottendo i triglioni nerazzurri.

non è solo l'etica protestante a menare il torrone col lavoro. qui in italia, che calvinisti non siamo mai stati, abbiamo scritto all'articolo 1 della costituzione che la repubblica è fondata sul lavoro. cioè il lavoro è il valore più importante.

mi sembra un'affermazione deprimente.

perché tutta questa importanza al lavoro? perchè il lavoro è considerato il luogo privilegiato in cui l'uomo (e la donna, beninteso) sviluppa la sua persona e la sua personalità, verticalizza i suoi afflati, concreta la sua ontologia, raccoglie esperienze e strumenti per comprendere l'esistenza?
il lavoro non è nulla di tutto questo. il lavoro è disumano. è tempo sottratto ad altre cose, che sono le cose più importanti.

e quali sono le cose più importanti?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Faccio notare ai lettori di Pim quanto sia gradevole un particolare del suo stile, quando affronta un argomento serio, come questo del valore del lavoro, avendo realizzato l'esistenza di contraddizioni molteplici tra aspetti etico-deontologici dichiarativi e realtà dei fatti. In primo luogo spezza il discorso, orientandolo tra il personale e il senso generale, per rendere meglio i contrasti partendo della propria esperienza e ingenerare la partecipazione del lettore, poi utilizza tecniche persuasive "contra se", dimostrando allo stesso tempo di porsi il problema. Quindi definisce un principio che sa benissimo non poter essere l'ultima parola sull'argomento, specie lasciando ben visibile un'aporia.

Perché questa premessa? Non per compiacere Pim, ma perché anzitutto è bene mostrare come la dedizione ad un lavoro (in questo caso) intellettuale, accompagnato da riflessioni sui mezzi e i fini, porti a realizzare queste tecniche delicate, capaci di mettere in mostra anche personalità ed intenzioni a vantaggio di altri. E' la più vivida dimostrazione di come il lavoro abbia giovato a Pim. Lavorando con buon criterio, infatti, cerchiamo noi stessi nei mezzi e nel risultato (Doppiovubi, che legge le mie proposte letterarie, ricorderà la figura illuminante di Beppo Spazzino, in "Momo", fulgido esempio di come questo valga per qualsiasi onesta professione).

Certo, non basta. Il tema è complesso per via dei fattori concausali all'esercizio del lavoro. Il lavoro fa bene alla persona quando rende migliore l'edificazione sociale, quando nell'opera esiste intrinsecamente una propensione a creare edificazione nella comunità di chi partecipa ai risultati, direttamente o indirettamente (a proposito di donne, uomini e tema del lavoro, essenziale la lettura di H. Arendt, Vita Activa). Non solo, occorre anche che il lavoro sia coadiuvato dalla realizzazione umana, nella famiglia, nell'interiorità e nelle amicizie. Fermo restando che non sempre le cose vanno per il vero giusto in tutti questi campi, conta molto mettercela tutta per fare il meglio possibile date le circostanze.

Pim, sono del tutto persuaso che fai bene il Tuo lavoro, che gli occhi di quella bambina Ti aiuteranno a migliorare i mezzi e i fini senza perdere di vista che alle spalle di un sfratto c'è anche la responsabilità di papà e mamma, oltre che del proprietario. A volte le difficoltà create dai contrasti sui beni aiutano a stringere gli affetti, a renderli veri, non è affatto detto che li spezzino. Inoltre, non esiste riforma sulla proprietà immobiliare che possa cancellare il conflitto sociale, esisterà sempre materia del contendere.

RingraziandoTi per questa condivisione, Ti dico che porterò anch'io con me quello sguardo di una bambina che disegna la sua famiglia, nel lavoro e soprattutto nella mia famiglia.

Paolo

pim ha detto...

il commento di Paolo, che ringrazio e saluto con affetto, mi fa partecipare della natura di quell'artista che scrive nell'inconsapevolezza dell'Arte.

divido con questo genere di artista, che ammiro, solo questa piccola circostanza, ché artista non sono.

mi fa sempre piacere leggere parole che io non sarei in grado di scrivere, indipendentemente da quale sia l'oggetto di esse (se per accidente sono io o qualche mio scarabocchio, è appunto accidente). e mi fa piacere di poter essere, una volta, il germe di pensieri.