sabato 14 aprile 2012

piccolo e moderno

essere soli. sentirsi soli. avere voglia di star soli.
il cinema è finito. la letteratura è finita. la musica è finita. l'arte è finita. raccontarsi davanti a un computer.
questa cosa la voglio scrivere da tempo: l'unico libro che nessuno dovrebbe leggere mai è il diario del proprio padre.
il moderno è il piccolo. la ricerca del consenso. far ridere richiamando le normali disavventure del quotidiano, in cui ognuno si imbatte e si ritrova. il pensiero dell'uomo comune davanti a una situazione comune. captare la sensibilità dei tutti. tutti si soffiano il naso, vanno al supermercato, guardano la tv, si puliscono il sedere, conoscono il traffico, pestano la cacca, partecipano a cerimonie. tutti si riconoscono. far piangere raccontando i dolori di una ragazzina, le angosce di una donna separata, il lacerante dramma dell'abbandono, dello stupro, del sentirsi diversi, sbagliati, rifiutati, la lunga, dolorosa marcia verso l'accettazione di sè, e un bel mattino poter scostare le tende e vedere finalmente il sole, e fare colazione con la brioche, la meritata, fragrante brioche, dopo tanto patire, e prendersi cura di se stessi, accarezzarsi i piedi, prima così difficili da digerire, come quelle cicatrici, nel corpo e nell'anima. si percorre, si percorre il cammino, con fatica, per vedere la fine del tunnel, ritrovare l'amore, ritrovare la madre, ritrovare i figli, ritrovare la casa in cui si è cresciuti, imparare dagli altri, ascoltare, superare, costruire, cadere in basso e poi rialzarsi, crescere una famiglia portando in grembo il gravoso segreto, amare recando il pesante fardello, espiare, distruggere per trovare il senso pieno, lasciarsi andare, non giudicare più, imbattersi, credere nel destino, nei suoi lazzi e nelle nostre possibilità, ribaltare, conservare, accettare, scoprire, riscoprire. tornare bambini, recuperare lo stupore infantile, l'emozione della prima volta. le storie parallele. il vecchio racconta. il caso racconta. il mostro racconta.

perchè non sarò mai un regista. perché trovo insostenibile l'obbligo di dover arredare una scena. scegliere i libri che occupano lo scaffale, il colore del divano, la lampada, le pareti. un lavoro terribile. e non lo puoi fare fare a un altro, anche se non sei von sternberg.

la letteratura moderna sta in qualsiasi riga di 140 battute.

cosa puoi mettere sul pentagramma dopo monteverdi, corelli, vivaldi, bach, beethoven? e dopo i beatles?

una volta che c'è stato giotto, e velasquez, e van gogh, cosa puoi dipingere? niente. scagli la latta per terra. e qualche stronzo ti dice pure bravo. e dopo che hai fatto questo? monti delle impalcature di cartapesta e ci inchiodi foto di mucche colorate. e di nuovo qualcuno ti dice bravo. e poi.
puoi scrivere qualcosa dopo omero, dopo dante, dopo shakespeare, dopo dostoevskij, dopo borges? puoi scrivere infinite jest, ma poi, per forza, ti uccidi.
puoi fare un film dopo quarto potere, dopo orizzonti di gloria, dopo il testamento del dottor cordelier? puoi fare harry ti presento sally, la sottile linea rossa e pulp fiction, la cui sceneggiatura è la vetta degli ultimi 20 anni, così come bianca è il miglior film italiano degli ultimi trenta. voglio che tutti vedano i miei capezzoli. che cataloghino i miei nei. voglio che si parli del packaging della coca-cola. voglio scrivere una sceneggiatura in cui i protagonisti discutono se sia meglio la lattina da 33 cl nella forma snella o in quella tradizionale, voglio che ci si interroghi sulla scomparsa delle bottigliette di vetro, e sul perchè qualcuno ha deciso che la dose giusta per una buona bevuta dissetante deve consistere in 33 cl di liquido, e non 40, o 30. e da lì, al pacchetto di sigarette. perchè 20? perchè quasi tutti i fumatori fumano 20 sigarette al giorno? se il pacchetto fosse da 18, quante ne fumerebbero? voglio che si discuta sul fatto che simon le bon e tony hadley sono stati, seppur incarnando un tipo diverso di mascolinità, due sex symbol degli anni '80. che qualcuno introduca il concetto di john taylor, di steve norman e dei fratelli kemp. e di lì si scateni una baruffa intorno alle immense differenze che corrono tra i boyzone, i five, i new kids on the block, i backstreet boys, gli n'sync e i take that, senza risparmiare qualche pepata citazione.
voglio che si parli del fatto che gli attori dei film porno sono di bassa statura, così risaltano le forme. voglio intervistare rocco siffredi e chiedegli rocco, quando vieni in faccia a una delle tue attrici, cosa provi? cos'è, per te, l'eiaculazione? cosa rappresenta? è un simbolo di qualcosa? la donna della situazione, quando sta per ricevere il tuo succo, secondo te, in che situazione psicologica è? speranzosa? spaventata? insicura? come ti piace venire? in bocca, sugli occhi, sui capelli, sul naso, sulle tette? se l'attrice non vuole ingoiare, tu la forzi? cerchi di convincerla? quali strategie usi? è vero che alle tue partner riesci a far fare tutto ciò che vuoi? esistono donne frigide o solo maschi incapaci? pensi, facendo il tuo lavoro, di conoscere le donne? non credi di avere una visione quanto meno parziale della femminilità? pensi che avere il cazzo grosso e sapere che le donne lo sanno ti configuri come una sorta di oggetto curioso, da scoprire? pensi che quando una donna apparentemente distaccata ti sta intervistando o semplicemente sta scambiando due parole con te in realtà sta pensando al tuo uccello e sotto sotto vorrebbe provarlo? parlando onestamente, quando concedi un'intervista a una donna e fai le tue battute allusive e vedi che lei magari non risponde ma capisce, questo fatto conferma la tua considerazione di te stesso come uomo e come maschio? pensi di riuscire, a prescindere dalle dimensioni del tuo pene, a sedurre una donna che non verrebbe mai a letto con un pornoattore? dopo tanti anni, sei ancora convinto che le donne, tutte le donne, vogliano solo essere prese a schiaffi? pensi che la pornografia sia peggiorata col tempo?

il senso dello spazio nella città di oggi. interroghiamo gli architetti. l'uomo e la dimensione urbana. interroghiamo gli avvocati. la verità processuale e la verità sostanziale. la difficile missione dell'uomo di legge. il problema etico. il sacrosanto diritto di sciopero. il rispetto del codice deontologico. la revisione delle tariffe. liberalizzazioni sì, corporativismo no. il sacrosanto diritto di difesa. interroghiamo i magistrati. cosa l'ha spinta a scrivere questo romanzo? il poliziotto protagonista si rifà a qualche persona conosciuta dal vero? e l'avvocato? pensa di scriverne altri? l'esposizione mediatica la spaventa? pensa che sia dovere di un magistrato quello di esporsi e finanche di sovraesporsi quando la necessità lo richiede? pensa di candidarsi alle prossime elezioni?
lei che è prete, cosa ne pensa di questo scandalo della pedofilia? è vero che le chiese sono sempre più vuote? è vero che riscontrate una diminuzione delle vocazioni? sarebbe d'accordo su una riforma che prevedesse l'abolizione della promessa di castità? non sarebbe meglio se anche voi preti cattolici trovaste uno sfogo, all'interno per esempio di un regolare rapporto coniugale, a quello che tutto sommato è un bisogno fisiologico e comunque anche un atto d'amore? non è che stare tutto il tempo senza sfogarsi naturalmente crei alla lunga delle frustrazioni o peggio delle nevrosi che possono sfociare in comportamenti disordinati?
secondo lei, che è psicologo, perchè vince sempre il lato oscuro della forza?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un'ottima descrizione della demolizione della persona nella modernità, e ancora di più di cosa produca la condizione postmoderna.

Mi permetto di pensare che, pur di fronte alla cesura con la narrazione comunitaria che viviamo, e pur di fronte al decadere della cultura e della civiltà, ci sia ancora modo per costruire il bello e il senso, magari rammentando di produrre sulle spalle dei giganti e imparando a distinguere ciò che è veramente da gigante e ciò che non lo è, anche prima della modernità.

Poi, il primo passo è guadagnare equilibrio, compiendo una cesura interiore all'atteggiamento postmoderno: non siamo obbligati a dar retta alla mondanità sfrenata dei consumi, ad essere autoreferenziali, a concedere attenzione compulsiva a chi espone se stesso, a vivere di dipendenze, a perderci nel frammento decostruito. Non solo non siamo obbligati, ma è un principio vitale per non sentirsi svuotati di se stessi.

In secondo luogo, è possibile tornare a ragionare sui criteri, per migliorarli come sempre hanno fatto gli artisti e i tecnici, quando ancora esistevano "scuole" e "maestri".

A quel punto, se si lavora bene su se stessi e sulla propria (depurata e essenziale) percezione del mondo, gli slanci emergono da soli, e neanche ci si accorge di aver prodotto unicità e bellezza, tanto è naturale.

Perché non crederci e non perseverare nella ricerca?

Paolo