venerdì 3 ottobre 2014

era ora

non voglio avere più niente da dire

domenica 24 agosto 2014

quando la parodia resta l'unico territorio disponibile

era da mesi che non lo leggevo più, non so perché, e allora mi sono rimesso a leggere il blog di paolo nori, che è uno scrittore e traduttore, bravo secondo me, anche se non ho mai letto nessuno dei suoi libri e nessuna delle sue traduzioni, anche se quella di oblomov mi sono ripromesso di leggerla, e presto, dico che è bravo per quello che leggo sul blog, dove scrive abbastanza spesso, direi, e dico che è bravo anche perché di solito mi trovo d'accordo con quello che dice, che se vuoi è una cosa un po' triste da dire e da ammettere ma è anche vera, anche se anche lui come tutti ha i suoi difetti, però è uno che ha tante cose in comune con me, per esempio ha una figlia abbastanza piccola (lui femmina, io maschio), mi pare di capire che è separato o divorziato dalla mamma della figlia, che non vive esattamente vicinissimo a lui, e però la porta in giro (la figlia) e le parla e la fa divertire e cerca di insegnarle le cose e anzi di imparare da lei e cerca di fare il papà e secondo me è anche un bravo papà, che è quello che tutti i papà vorrebbero sentirsi dire, e poi è uno che ha letto e legge tanti libri, anche se a ben vedere non è detto che uno scrittore debba per forza leggere, altrimenti sarebbe un lettore, lo scrittore è quello che scrive, però gli piacciono i russi, e la lingua russa, che è già di per sé una bellissima cosa, poi credo che stia abbastanza scomodo nel senso se gli viene richiesto di collocarsi politicamente, perché di fatto dimostra di non andare molto d'accordo con la politica, e con i politici, uno che è cresciuto a parma, dove hanno anche un po' di puzza (sotto al naso, s'intende), scrive su libero ma parla sempre del pd, conosce bene il partito, anche perché è del 63, cioè ha 4 anni più di me e cioè è cresciuto in un'epoca in cui la politica esisteva ancora, nel senso che la sera si parlava di quello, con o senza la birra, o con una birra in quattro, e quindi a noi e a lui gli è rimasta in testa questa cosa, si fa fatica a liberarsene anche quando tutto e tutti ti consigliano di farlo, e quindi diciamo che non lo so se alla fine mi piace o no, diciamo che mi piace perché parla di scrittori bravi, e poi ha scoperto venedikt erofeev, che da quello che leggo mi sembra un genio assoluto, come altri che pubblica e che se uno non li conosce grazie a lui li conosce, che poi è la funzione socialmente utile di un blog anche se (ma forse sono cattivo e mi lancio in illazioni che dovrei tenere per me) uno un blog non lo apre e lo coltiva per via della funzione socialmente utile di esso, e alla fine cosa importa se il blogger in questione ha il vezzo di raccontarci, anche solo epigrammaticamente, della metropolitana, del sudore, del burro, della frittata, della gente, delle sue paranoie, dei suoi oggetti, alla fine viviamo nell'epoca postmoderna in cui l'alto e il basso si intrecciano, si uniscono, si mischiano il lazzo e la preghiera, l'afflato cosmico e la pernacchia, erich auerbach e kimber james, si fondono, indissolubilmente, la riflessione alta sul mestiere dell'artista e la calca nell'ora di punta, le meditazioni sulla consolazione della letteratura e le difficoltà del quotidiano, alla fine è un po' come uno spaccato (spaccato, una parola che non si legge più) sulla realtà contemporanea, a volte tenero a volte caustico, dolce e amaro, ma alla fine se devo dire se mi piace o no dico che mi piace, chi se ne frega se a volte butta lì di come si sveglia la mattina, l'importante è che ha tradotto goncarov e erofeev, e che conosce il russo e io solo per quello, perché conosce il russo e la russia e credo anche i russi, che sono un popolo che uno deve conoscere altrimenti è meglio che si spari, io vorrei conoscere lui, dice cos'è la conoscenza per interposta persona, no, adesso ti dico, io per esempio ho appena finito di leggere un libro di demetrio volcic che tutti sanno chi è, e mi è venuta una voglia pazzesca di incontrarlo per chiedergli tante cose, di tante che ne ha viste con i suoi propri occhi, e sono andato sul facebook e ho visto che ci sono messaggi di alcuni altri estimatori del volcic tra cui uno che abitava nel suo condominio un sacco di anni fa che gli fanno i complimenti, e io allora ho pensato che non mi avrebbe risposto se gli avessi chiesto di incontrarmi per parlare un po', per ascoltarlo, che sarebbe una cosa bellissima, almeno credo, e allora non è intermediazione di conoscenza, non è che uno la russia la conosce solo se ci va, certo andarci è meglio, siamo d'accordo, ma è bello anche ascoltare chi ci è stato, conosce la lingua, gli usi e i relativi costumi, le tradizioni, le cose che uno non impara in una settimana col viaggetto organizzato, ecco perché mi piacerebbe conoscere anche lui, il nori, anche perché mi piace il suo misurato understatement, il suo restare sospeso, che, credo, è un atteggiamento sincero e non una posa, perché secondo me è una brava persona e ha capito che a volte i migliori sono quelli che fanno fatica a parlare e anche perché anche lui come me ascolta radio radicale e non sa perché, forse perchè i motivi per cui vale la pena fare una cosa sono quelli che fai la cosa ma non sai perché.

mercoledì 20 agosto 2014

perché viviamo come se le stelle non esistessero invece esistono

certo è una cosa che hanno pensato tutti e desiderato tutti è nel cosiddetto immaginario collettivo ed è bello che sia così nell'immaginario collettivo che a un certo punto uno sta guardando una trasmissione di quelle del dopo partita dove c'è il conduttore per esempio fabio caressa che parla e introduce i cosiddetti temi del dopo partita e si discute del 433 o del 352 delle assenze della preparazione dell'allenatore della tattica del rigore che c'era o non c'era e tutti compunti e seri dicono la loro facendo capire che ci tengono a quello che dicono e sono persone serie che lo fanno per mestiere e sono dei veri professionisti e sono ben vestiti nello studio e dicono che secondo loro questo e quello e a un certo punto arriva uno squalo bianco o tigre arriva in studio e in un solo boccone si ingoia il conduttore potrebbe anche essere un orso o un gorilla insomma un animale bello grosso arriva e se lo pappa tutto in un solo appunto boccone e tutti gli ospiti come si dice dello studio restano lì come si dice impietriti mentre lo squalo o il gorilla si vede che è bello gonfio per via del boccone che ha appena ingoiato e tutti restano lì con le loro cravatte e i vestiti grigi e le loro pettinature mentre il gorilla o squalo con gli occhi completamente vuoti e inespressivi come quelli del telecronista che c'era prima di lui d'altronde sono uguali alla fine uno dice non è che sia cambiato molto solo forse la voce è diversa adesso cosa facciamo intanto c'è un fatto che prima c'era un conduttore uomo e adesso non c'è più va bene ma tutto sommato forse funziona anche lo squalo

martedì 19 agosto 2014

la finestra

la finestra di fronte a me è uno specchio che riflette quello che vuole. sarebbe piaciuta a david lean, che ha costruito la più bella scena della storia del cinema con un vetro e due amanti. la mia riflette il viso e la v del collo di un soggetto maschile. ciò che vediamo lo vediamo grazie all'illuminazione di uno schermo di un piccolo computer. lo schermo è la fonte luminosa, il volto è riflesso nella finestra posta di fronte a lui.  la cosa curiosa è che non ne vediamo gli occhi. sotto gli occhiali è tutto molto fosco, quasi come quei pazienti dei reparti di oftalmologia, costretti a mettersi quelle terribili bende, quelle terribili garze.
se metto le mani davanti alla faccia le faccio diventare protagoniste della scena. decido di utilizzare la fonte luminosa per nascondere, rivelare, tagliare, creare.
quando uno sta morendo che cosa vuole portarsi dietro? qualche certezza, solo quello. io qualche certezza ce l'ho già, e sono tesori preziosi.
per esempio io so che ti ho voluto bene, e so che tu ne hai voluto a me, allora, in quel momento. ed è bello sapere, sapere che è vero, è davvero così. anche se non conta saperlo, né tanto meno scriverlo, è così e basta. sentirlo. io lo so, che ci siamo voluti bene. è stato quel sorriso, quel guizzo negli occhi, quel niente, quella pausa, quel silenzio, quel qualsiasi cosa sia stato, dovunque. comunque. quello ci ha fatto sentire che ci stavamo volendo bene, anzi l'abbiamo sentito di più nel tempo, e ancora oggi lo sentiamo, io come te, ed è per questo che alla fine, alla fine...se mi viene l'alzheimer come a mia nonna e non mi ricordo più niente forse conta anche scriverlo.

giovedì 7 agosto 2014

il parossismo della paratassi

in una scena del film la messa è finita, il nanni vestito da sacerdote si presenta in una libreria gestita da un suo ex amico, con il quale ai bei tempi, insieme ad altri, pubblicava una rivista engagée. nanni come al solito fa la superstar e se la prende con un cliente che, in cerca di un libro da regalare, si limita a sfogliarne alcuni senza leggere una riga.
il cliente ha ragione.

una volta quando andavo per libri lasciavo che fossero loro a scegliere me. una cosa romantica.
poi sono passato ai segnali. seguivo, indovinavo oscure tracce che mi indirizzavano verso questo o quello.
adesso che sono cresciuto mi sono dato una regola, più o meno, diciamo, sulla falsariga di quella che jeff goldblum riporta ai suoi ex compagni di scuola: non leggere mai più libri in cui i dialoghi occupino più del 10% del testo ovvero dominino periodi lunghi meno di dieci righe. ciò che restringe drasticamente il campo.
pazienza.
arrivo, sfoglio, vedo tante belle pagine di dialoghi, ripongo.
stimo la regola aurea, come la concinnitas ciceroniana (e lui era uno tosto), benché la corrispondenza tra complessità e qualità del testo non sia biunivoca.
thomas pynchon, per fare un grosso nome, segue la mia regola, ma scrive malissimo.
come dice woody allen: "uno può essere coltissimo e non afferrare la realtà oggettiva"; uno può essere coltissimo, una cultura enciclopedica come il thomas, ma non sapere mettere insieme un periodo che dia qualche soddisfazione ai sensi del lettore. ricordando richler, è come lo snooker, si tratta di metterla in buca.

il segno, uno dei segni, della letteratura moderna è la paratassi spinta alle sue estreme possibilità. niente subordinate. niente complicate costruzioni sintattiche. sì. no. bene. ciao. me ne andai. scesi in strada. pioveva. fanculo, presi un taxi. lei non c'era. merda. dovevo arrivare prima.

non è strano. letteratura fast food. mangio un panino al volo. mando una mail. scrivo un messaggio. scrivo un romanzo.

mio figlio ha una specie di programma o non so cosa che gli consente dal suo telefonino di mettere insieme a casaccio brandelli più o meno lunghi di messaggi ricevuti o inviati, e creare file di testo anche lunghissimi, completamente senza senso e quasi del tutto privi di interpunzione.

non so com'è, ma mi fanno ridere un sacco. ed è già tanto.


domenica 15 giugno 2014

memento formato mundial

vi ricordo che lo stronzo deve uscire integralmente.

domenica 18 maggio 2014

grido al capolavoro

mentre son lì che mi interrogo su artista e creazione, mi arriva un 747 sulla faccia.

The words, di Brian Klugman e Lee Sternthal, anche sceneggiatori.

uno scrittore scrive di uno scrittore che scrive di uno scrittore. metacinema. metatesto, intertesto. sono categorie nate dopo. l'intertestualità è sempre esistita.
cinema che non finisce mai, come le filastrocche che ricominciano dalla fine, in loop, ultimi cascami della tradizione orale.
non è una critica alla ricerca del consenso, né una risposta alla domanda se l'arte sia figlia del dolore, né un'ulteriore sentenza sull'incomunicabilità tra gli esseri umani.

Bradley Cooper, che è anche produttore esecutivo, non è purtroppo all'altezza del ruolo. lo è Jeremy Irons, emozionante, e lo è, inaspettatamente, anche Dennis Quaid, che ci guarda nell'ultimo fotogramma del film.

non esiste romanzo che non sia tanti romanzi. non esiste vita che non sia tante vite. Borges, che non era decostruzionista, ha costruito tutta la sua letteratura su questo. un libro che è tutti i libri. un racconto che contiene tutti i racconti, come le mille e una notte.

quando lessi per la prima volta Ubik, capolavoro di P.K. Dick, la mia mente restò imprigionata dalla frase che Joe Chip, il protagonista, trova scritta nel bagno: "voi siete tutti morti. io sono vivo". Anni dopo scoprii che questa stessa frase aveva sconvolto la vita di uno scrittore francese, Emmanuel Carrère, che usò la frase come titolo di un saggio su Dick. Lo scoprii leggendo un altro libro di Carrère (che racconta uno spaventoso fatto di cronaca) dopo aver visto il film da cui era tratto il libro. Il film  mi aveva  turbato profondissimamente. Prima del film non conoscevo né Carrère né il suo libro. le ossessioni si ripetono, si tramandano. le sue ossessioni erano le mie.

quando avevo 15 anni c'era un professore di religione, un certo professor airoldi, o ajroldi, con il quale litigavo sempre. lui quelli che non capivano le sue lezioni li chiamava "mongoli", ma non nel senso della mongolia. per me era fuori di testa e cattivo. durante le lezioni di religione a scuola, chiunque fosse il professore, alla fine saltava sempre fuori la domanda sul senso della vita, e io mi incazzavo.
qualche anno fa pensavo che il senso della vita fosse quello di migliorarsi come esseri umani. oggi penso che questa cosa del migliorarsi sia assolutamente ridicola. non che non vada perseguita: vivere nelle proprie feci è peggio che farsi la doccia tutte le mattine. le disequazioni e la poesia ci pongono su un più alto gradino rispetto all'orango. sono d'accordo. ognuno fa il suo, nel gioco dell'esistenza.

qualsiasi forma di vita vuole vivere. il batterio tende a riprodursi. la vita eterna, come ha acutamente osservato DOM, non è il girotondo con le lenzuola, ma è la vita per la vita. così l'arte vuole vivere, e tende a riprodursi. non esiste senso altro che la riproduzione, di noi stessi, delle nostre vite, delle nostre parole, del dolore che è in esse, delle nostre opere, delle nostre speranze, dei nostri fotogrammi.
quando leggiamo del dolore, accettiamo di conservarlo e di tramandarlo insieme con quelle parole.

dicono che la sceneggiatura del film somigli molto, moltissimo, a un romanzo di uno scrittore svizzero, pubblicato nel 2004, otto anni prima del film. gli autori dissero di non conoscere il romanzo e dimostrarono di aver scritto la sceneggiatura nel 2000. è verosimile pensare che gli sceneggiatori e il romanziere non si siano mai incontrati e che abbiano scritto la stessa storia.

domenica 11 maggio 2014

adesso lo dico

deve essere successo qualcosa, ma non so se voglio saperlo. direi che non voglio saperlo. tanto nella mia vita la cosa incide, credo, assai poco. è che non posso guardare la sigla di chiusura delle trasmissioni della rai, quella con le onde e il simbolo della tv. anche adesso mentre scrivo mi tremano le mani al solo pensiero. non riesco ad ascoltare quella musica. mi fa star male. deve essere successo qualcosa, ma non voglio saperlo. magari qualcosa di non molto importante, non credo di essere stato picchiato o violentato, non credo di aver visto qualcosa di terribile mentre c'era la maledetta sigla. magari ho solo visto i miei che facevano l'amore e son rimasto traumatizzato. magari li ho sentiti o visti litigare. magari sono stato sgridato da mio padre per qualche motivo. chissà cosa è successo. qualcosa è successo. in ogni caso, non sono diventato né un violento né un violentatore e ho avuto finora una normalissima vita sessuale. la sigla non la trasmettono più da tanti anni, al massimo ci incappi durante qualche trasmissione sulla storia della rai. e lì basta cambiare canale. credo che mi porterò il fardello nella tomba.

di conflitti, favole e chiese

il conflitto tra l'artista e la sua creazione, che informa di sé qualsiasi tentativo di approcciare temi alti, resta l'unico conflitto sul quale è ancora opportuno, forse, spaccarsi la testa.
anche Dio è in lotta perenne con l'Uomo. si fa fatica a capirsi, e il genitore tende a interpretare il genitore, di quando in quando.
uccidere le proprie creature non appena esse vengono alla luce è, peraltro, propensione antica quanto il Tempo, come sappiamo.
e una volta nate persiste, non solo nelle menti più malate, quel sottilissimo, gelido sentimento di proprietà.
alcuni si affidano alle fiamme, altri si limitano al nascondimento; altri, ancora più vili di questi ultimi, lasciano l'ingrato compito agli esecutori testamentari; altri ancora invece non riescono a fermarsi, troppo ubriacante il piacere della terracotta che continua a modellarsi sotto le mani.
si parva licet, il più crudele crimine inflitto a un'opera d'arte dal suo autore nella storia del genere umano, ad oggi, è, senza dubbio, dovendo noi parlare di ciò che, nato, è riuscito a sopravvivere, l'atroce, abominevole delitto perpetrato ai danni della cosiddetta "saga" di Guerre Stellari dal signor George Lucas.
poche opere come la prima trilogia appartengono al patrimonio collettivo del pianeta. c'è, sì, una consistente parte di mondo che ne ignora l'esistenza, ma è quella parte di mondo che non ha nemmeno da mangiare.
tutti, puristi compresi, si aspettavano grandi cose da Episodio I. poi compare Jar Jar Binks. la figura più detestata della storia, seconda forse solo all'ineffabile Yoko. nonostante gli insulti,  il demiurgo non si ferma. dopo la seconda trilogia rigira, rimonta, riplasma parte della prima, commettendo un sacrilegio dopo l'altro (il più clamoroso dei quali, ovviamente, piazzare l'ologramma di Hayden Christensen al posto di quello di Sebastian Shaw al termine di episodio VI).
il risultato è stato l'emergere di siti internet, petizioni popolari, manifestazioni di piazza, proclami, tutti volti alla restaurazione dell'opera nella edizione originale, ormai introvabile. niente da fare. bisogna rassegnarsi, o rivolgersi a qualche nerd. non esiste nessun'altra opera d'arte che possa vantare articoli, testimonianze, discussioni, diatribe come guerre stellari. è il furto più clamoroso della storia di un autore al suo pubblico.

il fatto è piccolo, va bene, ma involge aspetti disparati, e non tutti altrettanto piccoli.
dal punto di vista diciamo antropologico, il problema non c'è. qualsiasi cosa è uguale a qualsiasi cosa. se Leopardi, preso da chissà quale demone, avesse per esempio riscritto L'infinito prima dell'edizione napoletana aggiungendo a fine poesia le parole "di milk shake", come avrebbe fatto più tardi l'indimenticabile Clizia Gurrado, quella sarebbe L'infinito di Leopardi, e vai a dirgli che era meglio prima. il punto è che per chi guarda dall'alto non è né meglio né peggio.
dal punto di vista giuridico, la questione è semplice. il diritto d'autore comprende, tra i suoi vari diritti, anche il diritto all'elaborazione dell'opera. l'opera è, per il diritto, sempre del suo autore, oppure di colui al quale l'autore ha ceduto il diritto. non mai del pubblico.
cattivo, come sempre, il diritto.
ma, a monte, è "giusto" che esista il diritto d'autore?
la regina Anna (ne fa un ritratto assai manierato il buon Victor Hugo) si prese la briga di legiferare per prima, in maniera organica, sull'argomento. era da poco stata firmata l'Unione. da lì in poi, un susseguirsi come si dice di interventi. ma l'invenzione della stampa era, a tacer dei cinesi, già vecchia di due secoli e mezzo. non c'era questo sentire impellente di tutelar l'autore. né c'era mai stato prima, anzi. e allora perché?
la domanda è gustosa (non saprei trovare altro aggettivo) soprattutto oggi, nel momento in cui  il diritto d'autore prende botte a destra e sinistra.
e allora io dico: sono per una radicale rivisitazione del diritto d'autore. radicale. rivisitazione.
resta il punto di vista del sentimento di appartenenza, di cui ho già detto qualche tempo fa. e qui non c'è niente da fare.
fate quello che volete, Guerre Stellari è Star Wars 1977. punto.
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per conoscere un popolo bisogna conoscerne le tradizioni.
come i tedeschi, che prima di specializzarsi nell'industria pesante sono stati, per secoli, i poeti e i filosofi più raffinati e sensibili, così i russi, apparentemente glaciali, hanno lasciato invero opere di una delicatezza e allo stesso tempo di una profondità psicologica spaventose. nel milieu più basso, la tradizione popolare consegna canzoni e favole che traboccano di sentimento (non è un caso che il più grande studioso della fiaba sia un russo).
a volte esagerano, come nel racconto che segue, più straziante di una favola di Wilde.

una bambina graffia l'auto del padre, alla quale questi è molto affezionato. il padre la punisce severamente picchiandola sulla mano con la quale ha compiuto il misfatto. così severamente che la bambina viene portata in ospedale. i medici dicono che dovranno amputare alla piccola  tutte le prime falangi della mano. la piccola, pentita, cerca di rassicurare il padre e gli dice: "non ti preoccupare papà, tanto ricrescono". il padre, distrutto, si toglie la vita. poco prima aveva guardato meglio il graffio sull'auto. la bambina aveva scritto: "papà, ti amo".
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avevo detto che ci sarei andato a Verona a suonare. saremmo stati tre gruppi, una cosa in famiglia, il locale solo per noi, e per fine serata la torrida prospettiva di una jam. ma, per motivi di cui non ero responsabile, s'erano ormai fatte le otto passate, e mio fratello era senz'altro già partito; partendo a quell'ora non sarei arrivato prima delle dieci. sarei stato, presumibilmente, tra amici, ma alla fine forse non ne valeva la pena, visto che saremmo dovuti tornare la sera stessa.
optai, optammo, per un aperitivo. la successiva passeggiata ci condusse davanti a una delle più belle e più antiche basiliche di Milano. nonostante l'ora, era aperta. evidentemente qualche liturgia extra. entrammo. davanti all'altare, un gruppo di bambini seduti. alla loro sinistra, ragazzi che cantavano e suonavano la chitarra.
in quel momento capii: ero lì che dovevo andare, non a Verona.

giovedì 1 maggio 2014

della superiorità morale dei francesi

sciovinisti e gozzoni e tutto, ma a loro non gli viene neanche in mente di usare la parola selfie. 

mercoledì 30 aprile 2014

c.p.c.v.l.p.v. / 2

lunedì 21 aprile 2014

estratti / 8

una volta mentre stavo giocando a tennis mi sono ricordato che la sera avrei visto i miei nonni e mi sono sentito tanto felice. invece ieri stavo mangiando la peperonata e improvvisamente ho desiderato essere sulla banchina di una stazione, insieme a tante persone che aspettano il treno.

galletti che ruzzano tra gonne svolazzanti, tra sandali impiastrati di sabbia. bicchieri colmi di vino scadente, salsicce sfrigolanti tra le urla. musica a volume alto e camiciole dischiuse a mostrare fieri petti. caldo.
spunzoni arrugginiti di vecchie armi, alabarde, daghe, zagaglie, gladii, spadini, pugnali, mazze, asce, falci, stiletti, baionette, scuri, picche.

non ho mai deciso niente in vita mia, mi disse il vecchietto. come la vuoi far cominciare una conversazione con un vecchio? sulla panchina di un parco, mentre dà da mangiare ai piccioni. in coda all'ufficio postale. su un mezzo pubblico. fai tu. c'eravamo, senza dubbio, io e lui, e lui si era messo a parlare. io ascoltavo.
mi disse alla scuola dell'obbligo ti ci mandano i genitori, poi dovresti decidere tu. invece mio padre mi disse a te ti mando al liceo classico perché scrivi bene in italiano. poi mi disse macché filosofia, iscriviti a giurisprudenza. poi mi sono messo per caso a fare l'avvocato e sono andato avanti così. poi sono diventato vecchio. non ho mai deciso niente in vita mia, per la mia vita. ho sempre aspettato che qualcuno o qualcosa decidesse per me, disse. un evento, il caso, un'altra persona. volevo fare scuola di regia, volevo imparare il cinema. ma alla fine forse ero talmente vigliacco che preferivo che restasse un sogno, così da potermelo cullare e da potermici macerare nelle ore solitarie. avrei fatto volentieri il camionista.

un mio amico dice che è giusto e necessario alzarsi dal letto la mattina e io dico che ha ragione.

sono rannicchiato in posizione fetale. suona il telefono. sì signora il ricorso è stato depositato ci sentiamo per l’udienza. faccio appena in tempo a mettere giù prima di avere un altro attacco di vomito. 

se la malattia è che non vuoi curarti come fai a curarti?

le persone dormono male.
un figlio con problemi a scuola. un figlio con problemi di salute. problemi di soldi. debiti. rate da pagare. mamme nelle case di riposo da mantenere. ansie. liti con il prossimo. incomprensioni con la persona che hai sposato.
c'è gente che si alza la mattina e va a lavorare con pensieri spaventosi. c'è gente che ogni mattina si sente male appena apre gli occhi. c'è gente che ha commesso azioni orribili e lo sa e lo nasconde. tutte queste persone si alzano, incredibilmente, lo stesso, tutte le mattine si alzano e non dicono niente a nessuno ed escono di casa e si vestono e scelgono cosa mettersi e che scarpe indossare e il colore della cintura. escono e vanno a lavorare e affrontano la giornata, le telefonate, i colleghi, le altre persone. fanno la spesa, parlano, ascoltano, guidano la macchina e magari ascoltano la radio, cambiano le stazioni. c'è tanta gente così. tantissima. escono di casa, con la nausea, i crampi allo stomaco, il mal di testa. varcano la porta e voilà. la porta di casa. la fottuta porta di casa. dentro casa magari ci sono i bambini, la moglie, il marito. fanno finta di niente. il marito ha problemi sul lavoro. torna a casa e gioca coi figli. la moglie soffre, ma al marito fa trovare la camicia stirata e la cena pronta. vivono tutti così. nella sofferenza, nella solitudine, con i propri fantasmi, che la notte li tormentano e il giorno li distruggono. affrontare il posto di lavoro. sedersi alla scrivania. il terrore della telefonata. il terrore del fax. il terrore della lite con il collega, con il datore di lavoro. la rabbia. la voglia di spaccare tutto. la voglia di urlare. si sfogano come possono. chi con la violenza, chi con il pianto. e domani ancora.
non fai niente di quello che vorresti fare. che dovresti fare. vorresti dirgli senti non mi interessa quello che mi stai dicendo io ho problemi più grossi di questo. mi sto separando da mia moglie. sto perdendo il lavoro. mi portano via la casa. ho il mio amore in ospedale. sto trattenendo il vomito mentre ascolto le tue parole. faccio fatica a respirare mentre tu mi parli. mi manca l'aria. mi scoppia la testa. invece ti sorrido e ti dico eh sì, certo. hai ragione. sperando che finisca presto. prima della prossima recita.
non puoi abbandonare la partita. non sai perché, ma ti senti obbligato a farne parte. a fare parte di questo sistema. non puoi darti all'alcool, alla droga. non puoi scappare. devi restare e continuare nel tuo ruolo. e più lo fai e più sai che è sbagliato. e più sai che è sbagliato e più lo fai.

solo pochi fortunati vivono diversamente. sono gli zombi.
forse, mi vien fatto or ora di pensare, sono molti di più di quello che stimo io. magari sono quasi tutti. essi vivono, dopo tutto, lo so. che film, essi vivono, un film che contiene l'unica scazzottata che valga la pena di vedere della storia del cinema, perché i cazzotti non c'entrano niente. non come i film di quei due mentecatti, uno grosso e l'altro biondo, che menano perché il film è tutto lì. in essi vivono sono cazzotti metafisici, non ci dovrebbero nemmeno essere, si picchiano perché non dovrebbero picchiarsi. quel genio di carpenter. ci sono gli occhi della protagonista, di una bellezza inguardabile, e anche loro sono completamente inutili. c'è il finale, dove vince, diciamo, il male. e c'è tutto il resto, pochi mezzi, storia semplice, c'è anche il messaggio, di una ingenuità commovente. un capolavoro.
ecco, dico, magari sono tutti zombi. io sono zombi, tu sei zombi, lui è zombi.

voglio essere come la mia collega, quella che ho incontrato in tribunale qualche tempo fa, che mi ha detto adesso vado a fare la spesa, poi mi compro un nuovo paio di scarpe e sono felice. ed era vero, era vero.
un paio di scarpe, e sono felice.

ripensare, come in una canzone italiana, a quando tutto doveva ancora succedere.

a quando sei riuscito a scalare la montagna, sei arrivato in cima e hai urlato al cielo.

al momento in cui le tue labbra hanno incontrato le sue.

lunedì 17 marzo 2014

noi due soli


catastrofe atomica. si salvano una coppia di fidanzati e un comune amico. è solo un sogno. ma l'auto che gira per roma deserta c'era, c'è, perché nel film; c'era, c'è, perché nel sogno.

martedì 4 marzo 2014

la rinascita della cultura italiana


nel salutare con partecipata emozione la rinascita della cultura italiana, voglio ringraziare anche io Diego Armando Maradona, l'indimenticabile pibe, per avermi fatto trovare parcheggio davanti allo studio, ieri.

domenica 23 febbraio 2014

frammenti di un discorso ospedaliero

uno

sdraiato sul mio letto guardo fuori. piove, piove orribilmente da giorni e mi dicono che, fuori, fa freddo. tutto sommato, mi dicono scherzando, stai meglio qui.
sono al quinto piano.
quando mi capita, guardo le persone che camminano sotto di me, che entrano o escono dall'ospedale. mi piace molto guardare le persone che camminano intorno all'ospedale e che non sono ospiti dell'ospedale.
il mio letto è bellissimo. lo ha costruito una filiale italiana di una società americana. sul letto c'è il marchio: hill-rom. sono andato sull'internet e ho assunto informazioni sulle attività e i prodotti della società.
appena ti ricoverano impari a manovrare il tuo letto. è una cosa che ti serve da subito. oltre a poter alzarlo o abbassarlo, puoi operare su ciascuno dei tre segmenti che lo compongono. testa alta, piedi bassi, piedi in alto, testa in basso, pancia in dentro, pancia in fuori, e così via.
adesso dico come ci sono arrivato.

sono in un albergo a mazara del vallo, un paese brutto, bruttissimo. mio figlio ha preso parte a una gara di scherma. adesso dorme. io sono al cesso e fumo una sigaretta. nel cesso non c'è il rilevatore. l'albergo ha 4 stelle ma ne merita meno. almeno si mangia bene. questo pomeriggio sono andato con mio figlio nella zona benessere. ci siamo divertiti un sacco. sauna, piscinetta con idromassaggio, doccia "emozionale", colorata e profumata, e tisana inclusa.
mi sveglio nel cuore della notte con una febbre terribile.
è domenica. la febbre mi abbatte. sto male come non sono mai stato in vita mia. convinto dalla mamma di mio figlio, vado alla guardia medica. la dottoressa mi prescrive un antibiotico. alle 20.30 parte il mio volo per milano. è la prima volta che volo da ammalato e mi sento una specie di untore, sai mai che fosse una cosa contagiosa. per la prima volta da quando prendo aerei, cioè da 25 anni, devo stare 15 minuti fermo sulla scaletta posteriore prima di riuscire a imbarcarmi. c'è qualche passeggero che evidentemente fa molta fatica a sedersi. i passeggeri mi stupiscono sempre. c'è sempre qualcuno che ha il posto alla fila 30 e sale dal davanti, e viceversa. c'è sempre qualcuno che al gate si mette in pole position per l'imbarco, indipendentemente dal fatto che ci sia il finger. prendo una certa dose di freddo.

a malpensa c'è mio padre, che gentilmente è venuto a raccogliere i miei resti e a trasferirli a casa mia. in realtà insiste perché vada a casa sua, così lui e mamma possono occuparsi di me. rifiuto finché non si arrende.
la notte è pesante. la tachipirina più di tanto non fa. lunedì febbre, martedì febbre. mercoledì febbre, ma più bassa. risolvo di andare in tribunale, ho due udienze cui devo presenziare. dopo aver presenziato, so che avrei potuto mandare una scimmia e sarebbe stata la stessa cosa. torno a casa. la febbre sale.

la notte è la peggiore delle precedenti. perdo completamente il senso del tempo. la mia mente è nelle mani di qualcos'altro, una forza oscura, imbattibile. penso incessantemente, per ore, ma poi mi rendo conto che non sto pensando niente e dico a voce alta "pensieri di niente" come se la forza oscura della febbre a quel punto dovesse aver capito di aver vinto e lasciarmi in pace. come se avessi pronunziato la resa. sono annichilato. sono percorso da brividi di ghiaccio. le ossa sono paralizzate, i muscoli non esistono. ho dolori per tutto il corpo, anche se non mi muovo. appena prendo sonno, mi sveglio. così, per ore. alle 6 del mattino mi alzo dal letto, vado sul divano. aspetto che si facciano almeno le otto, le nove, per chiamare il mio amico medico. accendo la tv su canale 5 perché c'è l'orologio. il tempo si dilata spaventosamente. vivo il più classico dei quadri surrealisti. ogni minuto mi addormento e mi risveglio. ogni minuto che mi risveglio, cioè ogni minuto, sono convinto che ne siano trascorsi 10, 20. è sempre uno. un minuto. chiudo, apro gli occhi. un minuto.
alle nove chiamo. il mio amico mi dice vieni in ospedale che ti faccio fare una lastra.
che cosa fare? andare in ospedale, che è dall'altra parte di milano, uscire di casa in questo stato, guidare la macchina?

vado. alle 10 sono in pronto soccorso. per fortuna non c'è molto movimento. mi misurano la febbre. è 39 e qualcosa. flebo di antipiretico. prelievi, lastra. mentre aspetto l'esito della lastra, seduto sulla sedia a rotelle, mi accorgo che sto perdendo conoscenza. faccio in tempo a pensare che non corro rischi, visto che sono seduto. mi risveglio con un dolore forte alla cima del naso, dolore sempre più forte, sempre più forte. un infermiere sta premendo del cotone contro il mio naso. sono caduto con la faccia in avanti, scopro, e gli occhiali mi hanno ferito. niente di che. scopro l'ebbrezza del prelievo nell'arteria radiale.
l'internista guarda i risultati. polmonite. ricovero obbligatorio. si cerca un posto. in pneumologia non ce n'è. trovano un posto in gastroenterologia.

i miei compagni di stanza sono due vecchi e un ragazzo. il primo vecchio è un milanesone, pieno di fissazioni. è ricoverato da un mese, ma non si sa che problemi abbia. la sera abbassa tutte le tapparelle. il secondo vecchio è un siciliano, di regalbuto. la notte è rumoroso. il ragazzo, un bel ragazzo, è l'oggetto palese del desiderio di tutte le infermiere e di un infermiere maschio, il quale gli dice "prima di uscire devi sganciare il numero del cellulare, anche solo per un'amicizia". prima della fine del turno, le apprendiste infermiere vanno da lui a chiedere se ha bisogno di qualcosa. finalmente l'infermiere maschio riesce a ottenere il numero e subito si mette a mandargli messaggi. il ragazzo ritiene di condividerne il contenuto con le infermiere.

dopo 3 giorni si libera un letto in pneumologia. vi rimarrò 13 giorni, per un totale di 16 giorni di ricovero.
per i primi 5 giorni i miei compagni di stanza saranno: agostino, settantaduenne ergastolano di origini messinesi ma romano d'adozione e di lingua, piantonato 24 ore su 24; piero, milanesone e chiacchierone, e ciro, napoletano bonario ma insopportabilmente molesto. dimessi ago e ciro arriveranno mauro, quasi mio coetaneo, e un ottantaduenne antipatico e volgare; poi anche piero sarà rimpiazzato, da un ragazzo disabile, che non parla e non sa.

la contiguità coatta sviluppa forme diverse di umanità. in ospedale, è noto, la condivisione del dolore, che è reale, avvicina le persone. mauro ha chiamato le infermiere quando il ragazzo senza nome si è sporcato tutto col suo catarro. e quando mauro è tornato con due sacchetti attaccati via cavo al suo organo genitale sono stato male. mauro aveva un'edicola davanti al cimitero maggiore. adesso fa il montatore di stand, quando c'è lavoro lo chiamano. gli piace raistoria, e anche lui guarda res gestae la mattina, come me. sono tornato a trovarlo, dopo che mi hanno dimesso, ma non c'era più. mi aveva detto che berlino è bellissima.

quando sei malato pensi a tante cose, hai tanto tempo a disposizione, il tempo in ospedale non è come fuori. in ospedale il tempo ha più senso. alle sei di solito sei sveglio, al più tardi alle sette. ti fanno il prelievo, ti danno le medicine. alle otto la colazione. alla nove c'è il medico che fa il giro. alle 12 il pranzo. alle 15 giro delle terapie. dalle 17 alle 18 orario di visita. alle 18 la cena. alle 19 terapie, poi si spegne la luce. la notte è lunga. sai di vivere una vita eterodiretta, ed è onesto. la vita di fuori, con la sua illusione di libertà, ti appare uno scherno.
devo confessarlo: la vita così palesemente eterodiretta è molto più bella, appagante.

mentre penso a tutte queste mirabili cose, mi viene l'

idea per un corto
un uomo obeso cammina sul marciapiede, verso casa. improvvisamente si accorge che, da un giorno all'altro, sulla via, hanno aperto una palestra, una di quelle palestre di esaltati dove i clienti, in bella mostra, vengono vessati dal trainer attraverso esercizi massacranti e senza senso. l'obeso si piazza davanti alla vetrina e resta lì a guardare. anche gli esaltati guardano lui, pur continuando a faticare. campi, controcampi (crampi, controcrampi?), sospensioni alla sofia coppola, o, se preferisco, alla bela tarr. dopo troppi minuti l'obeso si rimette in cammino e arriva a casa. si siede sul divano e accende la tv. vede gli stessi esaltati che continuano a sudare. primo piano dell'obeso. titoli di coda. (decidere se sia più opportuno che l'obeso, mentre guarda ciò che accade dentro la palestra, mentre cammina e mentre guarda la tv, mangi lentamente qualcosa, come un gelato, un sandwich, un bounty)

ed è questo che mi ha sconvolto.
vedere, capire, sapere che ci sono persone che si prendono cura di altre persone. esseri umani che aiutano esseri umani. che salvano loro la vita. io non lo so se sarei sopravvissuto. certamente non 50 anni fa. molto probabilmente nemmeno adesso. ma adesso invece son qui che scrivo. mi hanno salvato la vita. mi hanno curato. sono venuti, tre volte al giorno, a darmi l'antibiotico, e le vitamine, e le medicine, e la puntura nella pancia, e l'aerosol. e tu non chiedi niente. vengono a cambiarti il pannolone sporco di merda, vengono a rifarti il letto, a imboccarti, vengono e ti chiedono come stai, come sta, sono lì per aiutarti, per farti respirare. e che cosa importa se lo fanno per lavoro?

salvarsi gli uni gli altri. è etico. ed è giusto. cosa chiedi al chirurgo che ti apre la pancia? se crede in dio? se vota la sinistra? no. lo guardi negli occhi e speri che ti guarisca. la cosa che conta è che ci sia qualcuno che a una certa ora viene da te e ti dà una medicina. a volte ti fa anche una carezza, o un sorriso, ed è bello.
ci sono persone, al mondo, migliaia, centinaia di migliaia di persone che salvano la vita di altre persone. e questa è l'unica cosa che conta.

il resto sono chiacchiere.


due

camminare in una corsia d'ospedale, in piena notte. ascoltare i rumori. la tosse. il lamento. il catarro. il russare. la macchina per l'ossigeno, che gorgoglia senza sosta. uomini e donne che fanno fatica a respirare.
alzarsi e camminare, tornare a letto, litigare coi cuscini, mettercela tutta, non dormire. alla malora il tavor, cosa l'ho preso a fare, erano meglio le gocce che mi davano quando ero in gastro, non mi ricordo più come si chiamavano, sonnnellin, dormiglion, non mi ricordo.
ho i brividi. quando non ho i brividi, ho il terrore dei brividi. ho il terrore che ritorni la febbre. se torna la febbre vuol dire che non sto guarendo, come ha detto il primario. il primario vuole essere simpatico, ma non è cosa sua, purtroppo. dopo qualche giorno e qualche battuta fuori luogo non si presenta più.
ho pensato che sarei morto, poi ho pensato che invece no, anzi, sarei uscito fortificato dall'esperienza e avrei trovato il coraggio di cambiare vita, avrei smesso di fare il lavoro che faccio. bella espressione, cambiare vita. alla malora lo studio, le udienze, il tribunale, alla malora tutto. avrei finalmente preso il mano le redini del mio destino e avrei deciso, col mio primo vero conato di volontà, di fare quello che voglio fare, quello che so fare, quello per cui sono nato. quando pensavo che sarei potuto morire ero tranquillo, pensavo solo che mio padre avrebbe sofferto come un cane e che non avrebbe superato il trauma.
mi portano la bresaola, insistono perché mangi qualcosa. mi portano i dolci, ma non voglio nemmeno quelli. la mattina mi portano la gazzetta o il corriere. ma a me piace di più vivere completamente dentro qui. sono angosciato, chissà cosa sta succedendo in studio senza di me. non ho il coraggio di chiamare. mi arrivano tanti messaggi, tutti i giorni, anche da persone che non sento mai. sono contento. mi sembrano sinceri. le coperte, tutte su. brividi o non brividi. bello stare nel letto. aspettare. camminare in corridoio, camminare nella stanza della tv. sbirciare nelle altre stanze, chi c'è, come stanno, cosa succede, se la caveranno? sì, sì.
ancora la pastiglia per il catarro, ma io non ce l'ho! la prendo lo stesso, le prendo tutte, le ragazze sono la mia mamma, la mia mamma sa cosa è bene per me. solo una volta mi ribello, non voglio più la puntura nella pancia, non mi piace. mi accontentano. il saturimetro fa dei suoni, sempre quelli. ti si fissano nella testa, loro come altri suoni. il termometro è a volte quello classico, con la barra di mercurio rossa, a volte quello moderno, che ti appoggiano sulla fronte. in pronto soccorso hanno quello che si infila nell'orecchio e dà il risultato in un secondo. voglio un'altra coperta. ho freddo. non voglio vedere nessuno, voglio stare zitto e non vedere nessuno. voglio sentire i miei brividi percorrermi tutto, voglio sentire il dolore nel mio petto quando respiro, quando tossisco, quando digerisco. voglio solo i miei brividi, sono tutti miei, tutti. voglio il mio letto, i miei cuscini, le mie coperte e i miei coltelli infilati nelle scapole, nella testa, nel cuore, nel fegato e nei polmoni. poi un giorno la dottoressa mi dice oggi può andare a casa, e mi si riempiono gli occhi di lacrime.


tre

vi ho amato, vi ho amato tutte. vi ho amato come vi hanno amato tanti prima di me, vi ho amato quando venivate a darmi le medicine, quando mi cambiavate la farfalla, quando mi facevate il prelievo, quando mi attaccavate la flebo, quando mi misuravate la pressione e la saturazione, quando mi misuravate la febbre, quando mi facevate la puntura e anche quando mi preparavate l'aerosol. vi ho amato tutte e, sì, vi amerò per sempre, femmine senza nome, angeli azzurri, ancelle dell'amore laico, della pietà vera, della carità cieca.


quattro

la mia degenza, i miei esami, le mie terapie mi sono costate zero euro. cono costate zero euro a me, ma qualcuno le ha pagate. a nessuno ripugna pagare le tasse quando servono a garantire cure mediche per tutti. le poche tasse che ho pagato negli ultimi 40 anni (cioè dal mio precedente ricovero a oggi) avranno pagato qualche flebo. almeno spero.
ho pagato 66 euro per la tac cui mi sottoporrò il 19 marzo prossimo venturo. non ho mai pagato niente così volentieri.
a me piace vivere in un mondo in cui la sanità, come la scuola e la casa, sono garantite dallo Stato, cioè dalla Società. un mondo in cui ognuno deve organizzarsi per i cazzi suoi, altrimenti se si ammala muore come un cane, non mi sembra il migliore dei mondi possibili. questo bel discorso farà la fine che farà quando la sanità pubblica avrà finito i soldi e non sarà più in grado di funzionare, perché tutti faranno causa ai dottori e agli ospedali asserendo di essere stati curati male, gli avvocati saranno tutti contenti di farle, queste cause, e i giudici condanneranno tranquillamente ospedali e dottori perché "tanto sono assicurati", con la conseguenza che i dottori e gli ospedali non penseranno più tanto a curare i pazienti, quanto a salvarsi il culo, ciò che si chiama medicina difensiva, e inonderanno tutti i loro pazienti di esami e indagini, tanto per non saper né leggere né scrivere, e qualcuno pagherà per essi, qualcuno pagherà i premi delle assicurazioni, che nel frattempo aumenteranno, così aumenteranno anche le parcelle dei medici, degli avvocati, e qualcuno le pagherà. così, con i soldi che avrai portato a casa dalla tua brava causa, potrai pagarti le rate della tua nuova polizza assicurativa privata. fanculissimo.

mercoledì 8 gennaio 2014

appunti per la stesura di un manifesto per una rivoluzione


appunti per la distruzione del pensare-donna.

il capitalismo, il sistema capitale, favorisce l'emersione della donna quale soggetto primario e autoritario all'interno delle scelte e della famiglia e della società.
non importa il fatto che il femminismo non abbia insegnato alle donne ad essere amiche, unite, complici. è un semplice momento di passaggio.
peraltro alle donne ontologicamente non interessa l'unione tra esse né la complicità (una maxiballa). le donne sono ontologicamente rivali tra loro per l'accaparramento del lupo alfa, prima, e il mantenimento ovvero il miglioramento dello status raggiunto, dopo.

il sistema capitale è il sistema-donna.
il sistema capitale demolisce il pensare-uomo.
il sistema capitale, femminile, spinge la donna alla ricerca e all'acquisto di nuovi rametti per il nido, tramite il maschio, che diventa un semplice esecutore materiale del desiderio femminile, un tramite.
tale funzione marginale non viene a cessare per un solo e unico fatto: la forza fisica. fatto che la cultura non ha ancora strappato alla natura. finché gli uomini saranno fisicamente più forti delle donne, non scompariranno dal pianeta, ma saranno ridotti a ruoli di vassallaggio per il soddisfacimento di desideri. non tutte le donne riescono a portare a casa quintali di merce. non tutte sono alte, non tutte sono forti fisicamente. serve un muletto. ciò che è l'uomo di oggi. un muletto.

le leggi sul femminicidio, giuridicamente e socialmente senza senso, sono elementi primi di una politica della castrazione.
il maschio-eunuco è il punto di arrivo.

esibire il maschio davanti ad altri maschi, perché faccia a cornate con essi e porti a casa il risultato. nello stesso tempo continuare la guerra fredda con le altre femmine, con le quali ontologicamente persiste, durante la fase transizionale (da oggi alla società delle amazzoni e degli eunuchi) l'invidia spasmodica, la quotidiana lotta per l'apparire. l'essere magre, l'ossessione per le diete, tipicamente femminile, nasce nel milieu di un sistema tradizionale, ontologico, naturale, nel quale la donna cerca il maschio-alfa e lo trattiene all'interno delle mura domestiche.
la donna single, espressione moderna della femmina, sente il bisogno del maschio accanto a sé come mero strumento di ricognizione sociale.

finché esisteranno maschi non ancora demascolinizzati, serve una figura-simbolo, solo per poter dire le due parole che servono per  acquistare, finché è necessario, dignità sociale: "mio marito" 

le donne possono farcela da sole, ontologicamente non hanno bisogno del maschio. il principio del "non abbiamo bisogno di loro" è informatore del nuovo pensare-donna.
il pensare-donna, figlio del sistema capitale, presuppone la scomparsa del maschio come uomo, come padre, come simbolo.

in questo contesto, è venuta meno anche la funzione riproduttiva, dal momento che è possibile recarsi in ospedale e farsi inseminare artificialmente, portare a termine la gravidanza e crescere figli senza alcun maschio intorno. si moltiplicano famiglie formate da due mamme e bambini.
lesbismo di massa.
omosessualità di massa
un rapporto sessuale con una persona dello stesso sesso è, per una donna, un fatto infinitamente più normale che per un uomo.

nella situazione di transizione di oggi, la femmina vive una situazione schizofrenica nella quale, mentre si fa perdere di importanza e dignità alla figura maschile, ci si lamenta della scomparsa del maschio.

l'uomo, purtroppo, sta assecondando il processo.
pur di scopare, che è la cosa principale che interessa al maschio, egli è disposto anche a concedere le "pari opportunità" , riservare posti di lavoro per legge, parlare bene della donna, esprimere pareri favorevoli circa il percorso distruttivo che, più o meno inconsapevolmente, sta vivendo.
perché l'uomo non si rende pienamente conto di stare avallando un vero e proprio processo di demascolinizzazione della società.

le donne sono ormai solo eviratrici
assistiamo al ritorno dell'amazzone
lo svuotamento del ruolo del maschio all'interno della famiglia e della società.

la femmina priva del suo suolo il maschio e il padre disgregando la famiglia.
schizofrenia nel processo transizionale. da un lato attribuirsi ruoli maschili (il lavoro, la capacità di produrre reddito, conquiste sociali) da un altro percependo che lo svuotamento di ruolo porta inevitabilmente al fatto che loro stesse non riconoscano più il maschio che invece ontologicamente desiderano avere (qualunque donna, ontologicamente, desidera un "vero uomo" accanto a sé)

vuoi un uomo accanto a te e lo distruggi, distruggi ciò che per natura desideri. follia.
così come le diete, inesistente il natura il desiderio di essere magri

il pensiero comunista eguagliava i sessi e dava pari diritti a donne e uomini senza togliere alcun valore al ruolo di maschio e femmina, che restavano cardinali. il pensiero comunista infatti aborriva l'omosessualità.

il sistema capitale prima ha creato l'uomo-massa (al contrario di quello che si pensava del pensiero comunista- eterogenesi dei fini) poi ha creato la donna consumatrice, responsabile delle risorse economiche della famiglia.
da eminenza grigia e consigliera nascosta e silenziosa all'interno della famiglia nucleare, quale era storicamente, la donna emerge quale rappresentante della direzione politica, economica, culturale della famiglia e della società.

l'uomo si è femminilizzato anche lui. tiene alla cura del corpo, è vittima della moda, è spinto come la donna ad acquisti compulsivi, ha sublimato la componente violenta del suo essere in atteggiamenti sedativi quali gli oggetti. ha perso, sta vieppiù perdendo, la propria ontologia.

l'ontologia dell'uomo è andare a caccia e ammazzare. è fare a botte. è andare alla ricerca, non per il gusto del viaggio, ma per seguir virtute e canoscenza. è andare e tornare, trovare la donna a casa e prendere il braccio il figlioletto. ettore e andromaca. è andare in guerra. è fare figli con tante donne, inseminare donne diverse.

la pace è pensare-donna.
l'uomo fa la guerra. la storia del mondo è la storia di interminabili e sanguinose battaglie.
l'uomo torna a casa con la spada insanguinata e trova conforto nelle carezze di una donna.
la donna è approdo, porto.
ontologicamente, la donna cerca sicurezza nell'uomo e l'uomo pace e serenità nella donna. una donna si sente sicura nelle braccia di un uomo, nel nido che con l'uomo ha costruito, nel quale alleverà la prole. l'uomo trova nella donna la quiete dopo la tempesta di un giorno trascorso a combattere, una casa, per lui non necessariamente l'unica, in cui tornare.

non esiste più nulla di tutto questo.

una spia dell'emergenza di quanto sto dicendo è la progressiva scomparsa della pornografia (tipico prodotto ad uso maschile) dalle reti televisive. così come lo sono tutti gli orientamenti di tutta la giurisprudenza, ormai sempre più territorio femminile.

un versante drammatico del pensare -donna, figlio del sistema capitale, è la deriva del risarcimento del danno.
nel pensare-uomo non esiste il risarcimento del danno.
sì, la lex Aquilia la conosciamo. è un'eccezione fondata. il sistema giuridico romano, fondamento delle codificazioni moderne, conosce e sviluppa l'obbligazione extracontrattuale.
ma la deriva moderna è tutta derivazione del sistema anglosassone, protestante e matriarcale.
in inghilterra e negli stati uniti si elabora la disciplina dei torts, grazie alla quale campano decine di migliaia di avvocati.
nel pensare donna esiste il diritto al risarcimento del danno come fatto equilibrativo di qualunque torto.
qualunque danno è non più astrattamente ma concretamente risarcibile.
fino a non molto tempo fa, quando il pensiero era figlio dell'uomo, si sopportava il torto come una componente del destino. adesso no. il mondo è pieno di persone che vantano diritti al risarcimento. qualsiasi cosa mi accada, qualsiasi ingiustizia subisca, devo poter ottenere un equivalente in denaro. una barbarie senza senso e senza fine. l'equilibrabilità del tutto attraverso la corresponsione di una somma di denaro è pensiero-donna. come se il denaro potesse ristabilire uno squilibrio derivante da un qualsivoglia pregiudizio.

la mia teoria è l'abrogazione del risarcimento del danno da colpa, di qualsiasi gradazione.
resta il risarcimento del danno da dolo.

il collasso è evidente.
le cause di risarcimento del danno da colpa sono in aumento progressivo e la società si frantuma sotto di esse. il sistema non è in grado di sopportarne il peso.
la richiesta danni affonda le radici in un terreno culturale malato, in un tessuto sociale completamente disgregato.
il sistema capitale non solo crea, lo sanno anche i bambini, sperequazioni sociali (secondo qualcuno la povertà non si può eliminare, mentre non solo si può, si deve, e non è nemmeno difficile) e criminalità.
il sistema capitale non solo crea e produce inquinamento e rovina delle risorse naturali (che sono quelle che contano). il sistema capitale crea le condizioni per la distruzione dell'uomo.
la donna distrugge l'uomo.

rivoluzione.








summa summarum


sono stufo di leggere
ho bisogno di ascoltare.

questo post doveva finire qui.

impariamo dalla rete. impariamo da internet. impariamo dai libri
non si impara un cazzo dai libri, con buona pace del mio amato Condor.
si impara da qualcuno che insegna. ed è bello imparare da qualcun altro.
la scomparsa dei maestri è il problema centrale.

l'università ha smesso di essere una cosa seria quando gli insegnanti hanno smesso di essere una cosa seria.
mi sono laureato nel 1993 frequentando due corsi di lezione su venticinque. uno era economia politica, l'altro era diritto internazionale. uno al primo anno, uno al secondo. dal terzo ho smesso di andare all'università. preparavo gli esami a casa e quando mi sentivo pronto mi prenotavo per l'esame. mi sedevo davanti a uno stronzo e ripetevo quattro palle. così per 23 volte. questa è l'università.
chi frequentava l'università lo faceva perché si divertiva, perché si faceva casino, perché c'era la figa, perché si faceva amicizia.

invece, l'unica cosa di cui un uomo ha bisogno è un maestro. un insegnante.
non c'è niente di più bello di un maestro, di qualsiasi materia si tratti.
il nostro insegnante oggi è un miliardo di pagine web in cui possiamo imparare la storia, la geografia, la matematica, la filosofia.
ma io mi sono stufato di leggere.

io sto cercando uno che tutto il giorno mi parli e mi dica cose. che mi spieghi, che mi insegni. uno che parli. che sappia parlare. che sappia trasmettere.
l'oralità è più forte di qualsiasi scrittura.
sono per il ripristino della tradizione orale.
la scrittura si perde, la parola no.
i file devono essere continuamente "salvati" su nuovi supporti, altrimenti si perdono per sempre. dal dischetto al cd, dal cd al dvd, dal dvd alla chiavetta usb, e così via.
l'oralità conserva per sempre.

la formazione a distanza. una cosa abominevole.
non c'è nessuna formazione. al massimo c'è la trasmissione di informazioni. formazione e informazione sono cose diverse. oggi c'è informazione. informazione di massa a portata di un clic.
ma informazione e cultura sono, anch'esse, cose diverse.
e molto.