domenica 24 agosto 2014

quando la parodia resta l'unico territorio disponibile

era da mesi che non lo leggevo più, non so perché, e allora mi sono rimesso a leggere il blog di paolo nori, che è uno scrittore e traduttore, bravo secondo me, anche se non ho mai letto nessuno dei suoi libri e nessuna delle sue traduzioni, anche se quella di oblomov mi sono ripromesso di leggerla, e presto, dico che è bravo per quello che leggo sul blog, dove scrive abbastanza spesso, direi, e dico che è bravo anche perché di solito mi trovo d'accordo con quello che dice, che se vuoi è una cosa un po' triste da dire e da ammettere ma è anche vera, anche se anche lui come tutti ha i suoi difetti, però è uno che ha tante cose in comune con me, per esempio ha una figlia abbastanza piccola (lui femmina, io maschio), mi pare di capire che è separato o divorziato dalla mamma della figlia, che non vive esattamente vicinissimo a lui, e però la porta in giro (la figlia) e le parla e la fa divertire e cerca di insegnarle le cose e anzi di imparare da lei e cerca di fare il papà e secondo me è anche un bravo papà, che è quello che tutti i papà vorrebbero sentirsi dire, e poi è uno che ha letto e legge tanti libri, anche se a ben vedere non è detto che uno scrittore debba per forza leggere, altrimenti sarebbe un lettore, lo scrittore è quello che scrive, però gli piacciono i russi, e la lingua russa, che è già di per sé una bellissima cosa, poi credo che stia abbastanza scomodo nel senso se gli viene richiesto di collocarsi politicamente, perché di fatto dimostra di non andare molto d'accordo con la politica, e con i politici, uno che è cresciuto a parma, dove hanno anche un po' di puzza (sotto al naso, s'intende), scrive su libero ma parla sempre del pd, conosce bene il partito, anche perché è del 63, cioè ha 4 anni più di me e cioè è cresciuto in un'epoca in cui la politica esisteva ancora, nel senso che la sera si parlava di quello, con o senza la birra, o con una birra in quattro, e quindi a noi e a lui gli è rimasta in testa questa cosa, si fa fatica a liberarsene anche quando tutto e tutti ti consigliano di farlo, e quindi diciamo che non lo so se alla fine mi piace o no, diciamo che mi piace perché parla di scrittori bravi, e poi ha scoperto venedikt erofeev, che da quello che leggo mi sembra un genio assoluto, come altri che pubblica e che se uno non li conosce grazie a lui li conosce, che poi è la funzione socialmente utile di un blog anche se (ma forse sono cattivo e mi lancio in illazioni che dovrei tenere per me) uno un blog non lo apre e lo coltiva per via della funzione socialmente utile di esso, e alla fine cosa importa se il blogger in questione ha il vezzo di raccontarci, anche solo epigrammaticamente, della metropolitana, del sudore, del burro, della frittata, della gente, delle sue paranoie, dei suoi oggetti, alla fine viviamo nell'epoca postmoderna in cui l'alto e il basso si intrecciano, si uniscono, si mischiano il lazzo e la preghiera, l'afflato cosmico e la pernacchia, erich auerbach e kimber james, si fondono, indissolubilmente, la riflessione alta sul mestiere dell'artista e la calca nell'ora di punta, le meditazioni sulla consolazione della letteratura e le difficoltà del quotidiano, alla fine è un po' come uno spaccato (spaccato, una parola che non si legge più) sulla realtà contemporanea, a volte tenero a volte caustico, dolce e amaro, ma alla fine se devo dire se mi piace o no dico che mi piace, chi se ne frega se a volte butta lì di come si sveglia la mattina, l'importante è che ha tradotto goncarov e erofeev, e che conosce il russo e io solo per quello, perché conosce il russo e la russia e credo anche i russi, che sono un popolo che uno deve conoscere altrimenti è meglio che si spari, io vorrei conoscere lui, dice cos'è la conoscenza per interposta persona, no, adesso ti dico, io per esempio ho appena finito di leggere un libro di demetrio volcic che tutti sanno chi è, e mi è venuta una voglia pazzesca di incontrarlo per chiedergli tante cose, di tante che ne ha viste con i suoi propri occhi, e sono andato sul facebook e ho visto che ci sono messaggi di alcuni altri estimatori del volcic tra cui uno che abitava nel suo condominio un sacco di anni fa che gli fanno i complimenti, e io allora ho pensato che non mi avrebbe risposto se gli avessi chiesto di incontrarmi per parlare un po', per ascoltarlo, che sarebbe una cosa bellissima, almeno credo, e allora non è intermediazione di conoscenza, non è che uno la russia la conosce solo se ci va, certo andarci è meglio, siamo d'accordo, ma è bello anche ascoltare chi ci è stato, conosce la lingua, gli usi e i relativi costumi, le tradizioni, le cose che uno non impara in una settimana col viaggetto organizzato, ecco perché mi piacerebbe conoscere anche lui, il nori, anche perché mi piace il suo misurato understatement, il suo restare sospeso, che, credo, è un atteggiamento sincero e non una posa, perché secondo me è una brava persona e ha capito che a volte i migliori sono quelli che fanno fatica a parlare e anche perché anche lui come me ascolta radio radicale e non sa perché, forse perchè i motivi per cui vale la pena fare una cosa sono quelli che fai la cosa ma non sai perché.

mercoledì 20 agosto 2014

perché viviamo come se le stelle non esistessero invece esistono

certo è una cosa che hanno pensato tutti e desiderato tutti è nel cosiddetto immaginario collettivo ed è bello che sia così nell'immaginario collettivo che a un certo punto uno sta guardando una trasmissione di quelle del dopo partita dove c'è il conduttore per esempio fabio caressa che parla e introduce i cosiddetti temi del dopo partita e si discute del 433 o del 352 delle assenze della preparazione dell'allenatore della tattica del rigore che c'era o non c'era e tutti compunti e seri dicono la loro facendo capire che ci tengono a quello che dicono e sono persone serie che lo fanno per mestiere e sono dei veri professionisti e sono ben vestiti nello studio e dicono che secondo loro questo e quello e a un certo punto arriva uno squalo bianco o tigre arriva in studio e in un solo boccone si ingoia il conduttore potrebbe anche essere un orso o un gorilla insomma un animale bello grosso arriva e se lo pappa tutto in un solo appunto boccone e tutti gli ospiti come si dice dello studio restano lì come si dice impietriti mentre lo squalo o il gorilla si vede che è bello gonfio per via del boccone che ha appena ingoiato e tutti restano lì con le loro cravatte e i vestiti grigi e le loro pettinature mentre il gorilla o squalo con gli occhi completamente vuoti e inespressivi come quelli del telecronista che c'era prima di lui d'altronde sono uguali alla fine uno dice non è che sia cambiato molto solo forse la voce è diversa adesso cosa facciamo intanto c'è un fatto che prima c'era un conduttore uomo e adesso non c'è più va bene ma tutto sommato forse funziona anche lo squalo

martedì 19 agosto 2014

la finestra

la finestra di fronte a me è uno specchio che riflette quello che vuole. sarebbe piaciuta a david lean, che ha costruito la più bella scena della storia del cinema con un vetro e due amanti. la mia riflette il viso e la v del collo di un soggetto maschile. ciò che vediamo lo vediamo grazie all'illuminazione di uno schermo di un piccolo computer. lo schermo è la fonte luminosa, il volto è riflesso nella finestra posta di fronte a lui.  la cosa curiosa è che non ne vediamo gli occhi. sotto gli occhiali è tutto molto fosco, quasi come quei pazienti dei reparti di oftalmologia, costretti a mettersi quelle terribili bende, quelle terribili garze.
se metto le mani davanti alla faccia le faccio diventare protagoniste della scena. decido di utilizzare la fonte luminosa per nascondere, rivelare, tagliare, creare.
quando uno sta morendo che cosa vuole portarsi dietro? qualche certezza, solo quello. io qualche certezza ce l'ho già, e sono tesori preziosi.
per esempio io so che ti ho voluto bene, e so che tu ne hai voluto a me, allora, in quel momento. ed è bello sapere, sapere che è vero, è davvero così. anche se non conta saperlo, né tanto meno scriverlo, è così e basta. sentirlo. io lo so, che ci siamo voluti bene. è stato quel sorriso, quel guizzo negli occhi, quel niente, quella pausa, quel silenzio, quel qualsiasi cosa sia stato, dovunque. comunque. quello ci ha fatto sentire che ci stavamo volendo bene, anzi l'abbiamo sentito di più nel tempo, e ancora oggi lo sentiamo, io come te, ed è per questo che alla fine, alla fine...se mi viene l'alzheimer come a mia nonna e non mi ricordo più niente forse conta anche scriverlo.

giovedì 7 agosto 2014

il parossismo della paratassi

in una scena del film la messa è finita, il nanni vestito da sacerdote si presenta in una libreria gestita da un suo ex amico, con il quale ai bei tempi, insieme ad altri, pubblicava una rivista engagée. nanni come al solito fa la superstar e se la prende con un cliente che, in cerca di un libro da regalare, si limita a sfogliarne alcuni senza leggere una riga.
il cliente ha ragione.

una volta quando andavo per libri lasciavo che fossero loro a scegliere me. una cosa romantica.
poi sono passato ai segnali. seguivo, indovinavo oscure tracce che mi indirizzavano verso questo o quello.
adesso che sono cresciuto mi sono dato una regola, più o meno, diciamo, sulla falsariga di quella che jeff goldblum riporta ai suoi ex compagni di scuola: non leggere mai più libri in cui i dialoghi occupino più del 10% del testo ovvero dominino periodi lunghi meno di dieci righe. ciò che restringe drasticamente il campo.
pazienza.
arrivo, sfoglio, vedo tante belle pagine di dialoghi, ripongo.
stimo la regola aurea, come la concinnitas ciceroniana (e lui era uno tosto), benché la corrispondenza tra complessità e qualità del testo non sia biunivoca.
thomas pynchon, per fare un grosso nome, segue la mia regola, ma scrive malissimo.
come dice woody allen: "uno può essere coltissimo e non afferrare la realtà oggettiva"; uno può essere coltissimo, una cultura enciclopedica come il thomas, ma non sapere mettere insieme un periodo che dia qualche soddisfazione ai sensi del lettore. ricordando richler, è come lo snooker, si tratta di metterla in buca.

il segno, uno dei segni, della letteratura moderna è la paratassi spinta alle sue estreme possibilità. niente subordinate. niente complicate costruzioni sintattiche. sì. no. bene. ciao. me ne andai. scesi in strada. pioveva. fanculo, presi un taxi. lei non c'era. merda. dovevo arrivare prima.

non è strano. letteratura fast food. mangio un panino al volo. mando una mail. scrivo un messaggio. scrivo un romanzo.

mio figlio ha una specie di programma o non so cosa che gli consente dal suo telefonino di mettere insieme a casaccio brandelli più o meno lunghi di messaggi ricevuti o inviati, e creare file di testo anche lunghissimi, completamente senza senso e quasi del tutto privi di interpunzione.

non so com'è, ma mi fanno ridere un sacco. ed è già tanto.